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Sant'Arpino

Organigramma

Consiglio Direttivo

  • Pezzella Aldo – Presidente
  • Biancardi Antonio – Consigliere
  • Della Rossa Pietro Paolo – Consigliere
  • Di Carlo Roberto – Consigliere
  • Pezone Franco – Consigliere

 

  • Agliarulo Luigi
  • Apolloni Giuseppe
  • Aprea Maria Cristina
  • Bagno Luigi
  • Belardo Mario
  • Belardo Michele
  • Belardo Speranza
  • Caiazzo Pietro
  • Calabrese Rosaria
  • Capasso Ernesto
  • Capasso Ernesto
  • Capasso Raffaele
  • Cicala Domenico
  • Cinquegrana Elpidio
  • Cinquegrana Maria
  • Ciuonzo Elpidio
  • Crispino Domenico
  • D’Ambra Antonio
  • D’Ambra Felice
  • D’Ambra Francesco
  • D’Antonio Pasquale
  • Della Rossa Lorenzo
  • Della Rossa Luigi
  • Della Rossa Salvatore
  • Dell’Aversana Alfredo
  • Dell’Aversana Elpidio
  • Dell’Aversana Giuseppe
  • Dell’Aversana Giuseppe
  • Dell’Aversana Giuseppe
  • Dell’Aversana Luigi
  • Dell’Aversana Matilde
  • Dell’Aversana Raffaele
  • Dell’Aversana Teresa
  • Delli Paoli Clara
  • D’Errico Ettore
  • D’Errico Luigi
  • Di Iorio Aniello
  • Di Martino Luigi
  • Di Mattia Ernesto
  • Di Santo Francesco
  • Di Santo Gennaro
  • Di Serio Ernesto
  • Di Spirito Antonio
  • Gifuni Elpidio
  • Gifuni Vincenzo
  • Guida Virginio
  • Iacoletti Nicola
  • Iavarone Pasqualina
  • Iorio Elpidio
  • Iovinella Domenico
  • Legnante Francesco Paolo
  • Legnante Salvatore
  • Lettera Elpidio
  • Lettera Olimpia
  • Lettera Salvatore
  • Limone Domenico
  • Maisto Salvatore
  • Marroccella Pasquale
  • Marroccella Stanislao
  • Melardo Loreta
  • Migliaccio Antimo
  • Mormile Carmine
  • Nugnes Elisa
  • Padricelli Maria
  • Persico Raffaele
  • Petito Elisabetta
  • Petrone Paolo
  • Pezone Pietro
  • Pezzella Elpidio
  • Pezzella Giuseppe
  • Pezzella Michele
  • Rocco Gaetano
  • Sagliocco Antonio
  • Saviano Gennaro
  • Schioppa Giovanni
  • Soreca Arturo
  • Spanò Rodolfo
  • Tinto Ivana
  • Urciuoli Idio Maria Francesco
  • Vivenzio Rosa

Soci Onorari

  • Dell’Amico Angelo
  • D’Errico Giovanni
  • Limone Giuseppe
  • Petrocelli Giuseppe

Le Pubblicazioni

MOSTRE E PUBBLICAZIONI DELLA PINACOTECA DI ARTE CONTEMPORANEA “M. STANZIONE” DI SANT’ARPINO DAL 1997 AL 2021

“Eritrea. Immagini di una realtà che sembra uscire dai ricordi”

“La Pinacoteca di Sant’Arpino”

“Il Futurismo 1909 – 2009”

“Arte nucleare in Italia”

“Atellani contemporanei”

“Atellani del Novecento”

“Esperienze Artistiche al Femminile in Italia e Francia”

“L’Espressionismo in Campania”

“Le arti figurative nel Territorio atellano nel corso del Novecento”

“Artisti Grossetani e Napoletani”

“Artiste in Italia 1800 – 1950”

“Fra tradizione e innovazione”

“L’Astrattismo nella prospettiva dell’Astrazione Geometrica”

“Il Realismo in Italia dai primi del ‘900 ad oggi”

Le Mostre

MOSTRE E PUBBLICAZIONI DELLA PINACOTECA DI ARTE CONTEMPORANEA “M. STANZIONE” DI S.ARPINO DAL 1997 AL 2019

Mostra “Giovani Talenti” con Gemma Cominale e Antonietta Vaia – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 20 Dicembre 1997;

Pinto R. – La parola nel mio tempo, opere di Stelio Maria Martini -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 1998;

Pinto R. – Tra Iperreailismo e Naif, opere di Silvano Battimiello -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 1998;

Pinto R. – Periferie. Opere di Peppe Ferraro” – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 1998;

Pinto R. – Atellane. Sculture e dipinti di Salvatore Acconcia -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 1999;

Pinto R. – Informale e dintorni in Campania -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2000;

Pinto R. – Le radici dell’arte napoletana del secondo Novecento -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2000;

Pinto R. – Angeli di terra, Angeli d’aria. Opere di Lavinio Sceral -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2000;

Pinto R. – La Pittura di contenuto. Opere di Raffaele Salzillo-Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2001;

Pinto R. – Estremi soffi dell’Informale -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2001

Pinto R. – La ricerca artistica di Lydia Cottone -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2001;

Pinto R. – Ricerche nel realismo, opere di Lello Zito -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2002;

Mostra opere di Gerardo Iovino a cura di R. Pinto – 29 maggio 2002;

Pinto R. – Tricolore in luce, opere di Vincenzo De Simone-Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2002;

Bagno G. – Spuma E. – Eritrea. Immagini di una realtà che sembra uscire dai ricordi” di Salvatore Della Rossa – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2002;

Pinto R. – La Pinacoteca di Sant’Arpino -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2003;

Mostra di Pasquale Coppola – 19 Giugno 2004;

Cerimonia di riapertura della Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino, Domenica 12 luglio 2009;

Pinto R. – Il Futurismo 1909 – 2009 -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 15 novembre 2009;

Pinto R. – Arte nucleare in Italia -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, Edizioni Loffredo mostra 19 dicembre 2009;

Pinto R. – “Atellani contemporanei -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, dicembre 2009 (Pubblicazione);

Atellani contemporanei -Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, dicembre 2009;

MostraAtellani del Novecento” – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 27 giugno 2010 e presentazione pubblicazione di Pinto R.;

Mostra “Esperienze Artistiche al Femminile in Italia e Francia” – Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino, Domenica 4 luglio 2010;

Pinto R. – “L’Espressionismo in Campania”, Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 31 ottobre 2010;

Pinto R. – Le arti figurative nel Territorio atellano nel corso del Novecento, Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 22 dicembre 2010;

Mostra “Artisti Grossetani e Napoletani” in collaborazione tra Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino e Fondazione “Il Sole” di Grosseto – Domenica 27 marzo 2011;

Mostra Artiste in Italia 1800 – 1950”, Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, Domenica 5 giugno 2011 con testo di Pinto R. Artiste in Italia 1800 – 1950 – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – Istituto Grafico Editoriale Italiano, maggio 2011;

A.A. – VV. – “Fra tradizione e innovazione” – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 25 giugno 2011;

  1. Pinto –L’Astrattismo nella prospettiva dell’Astrazione Geometrica” – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 17 dicembre 2011;

Pinto R. – “Il Realismo in Italia dai primi del ‘900 ad oggi” – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2012;

Pinto R. – “Le artiste in Europa tra fine ‘800 e primo ‘900” – Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino, 2013;

Mostra fotografica Domitiana Finis Terrae di Giovanni Izzo, Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – venerdì 19 giugno 2015;

Mostra “Da Maccus a Pulcinella. La Metamorfosi di una Maschera” di Lello Esposito – PulciNellaMente Winter Edition, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino domenica 22 gennaio 2017;

Mostra “Totò, principe atellano” (a 50 anni dalla scomparsa) di Andrea PetroneXIX edizione di PulciNellaMente, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino venerdì 5 maggio 2017;

Mostra “Drappeggi”, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Giovedì 14 giugno 2018;

III edizione “Arte al Palazzo”, mostra collettiva di pittura e scultura di artisti santarpinesi, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Domenica 16 dicembre 2018;

Mostra ArtVentuno”, collettiva di pittura di Artisti con la Sindrome di Down, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Sabato 6 aprile 2019;

Mostra “Astractura”, Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – Sabato 1 giugno 2019;

Mostra “Atmosfere Mediterranee” di Alfredo Cordova, Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – Sabato 8 giugno 2019;

IV edizione “Arte al Palazzo”, mostra collettiva fotografica, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Domenica 1 dicembre 2019;

Mostra CONTEMPORANEAMENTE “Maestri in Pinacoteca” collettiva di pittura e scultura di artisti nazionali, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Venerdi 23 aprile 2021;

Mostra ETIOPIA “DAL VOLTO BRUCIATO” personale fotografica di Domenica Pinto Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Sabato 15 maggio 2021;

Mostra “OGNI FAVOLA E’ UN GIOCO” personale di pittura di Luca Dall’Olio, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Sabato 29 maggio 2021;

Mostra “La Vittoria dell’Umanità al Palazzo Ducale” personale di sculture bronzee di Elpidio Tramontano, Pinacoteca di Arte contemporanea M. Stanzione” di S.Arpino – Giovedì 15 luglio 2021;

Mostra “COSMOGONIE” personale di pittura dell’artista Claudio Milovic. Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – dal 15 al 29 gennaio 2022;

Mostra “Segno Divino” personale di pittura dell’artista Fausta Feola. Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – dal 5 al 15 febbraio 2022;

Mostra “Cromatismi Emozionali di Legami Nascosti” personale di pittura dell’artista Carmela Cusano. Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – dal 5 al 18 marzo 2022;

Mostra “OPRA” personale di pittura dell’artista Nicola Zampella. Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – dal 19 al 1 aprile 2022;

Mostra “Tra Fantasia e Realtà” personale di pittura dell’artista Eugenio Magno. Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – dal 2 al 25 aprile 2022;

Mostra “Oblita Anima Mundi” personale di pittura dell’artista Agostino Russo. Pinacoteca di Arte contemporanea “M. Stanzione” di S.Arpino – dal 1 al 15 maggio 2022;

Il Direttore

GIOVANNI CORONAS (detto Gianpaolo), nato il 16 gennaio 1963 a Santa Maria Capua Vetere (CE), residente in via Italia, 61 – Santa Maria Capua Vetere (CE), personalità di indubbio spessore culturale, di vasta conoscenza artistica, di comprovata esperienza organizzativa nella promozione di eventi d’arte di particolare rilievo.

CURATELA DI ALCUNE MOSTRE PERSONALI E COLLETTIVE:

  • 4 Ottobre 2020 – Mostra collettiva “Le Forme dell’aria” presso Rocca Paolina Perugia
  • 9 Settembre 2020 – Presentazione Catalogo CAI 20 (acronimo di Catalogo Artisti Italiani) e relativa mostra presso Museo d’Arte Contemporanea di Anagni (FR)
  • 9 Febbraio 2020 – Mostra collettiva “Amor Vincit Omnia ”, presso il Museo Provinciale Campano di Capua (CE)
  • 8 Dicembre 2019 – Mostra collettiva “ Artisti in corso “, presso le strade principali di Caserta e Foyer del Teatro Comunale di Caserta.
  • 6 Novembre 2019 – Mostra collettiva “ Confluencias “, presso Fundacion Paurides. Elda di Alicante (Spagna)
  • 31 Ottobre 2019 – Mostra d’arte Personale di Alfredo Cordova, presso Scuderie di Villa Favorita , Ercolano (NA)
  • 19 Ottobre 2019 – Mostra d’arte collettiva “ Rinascimento Contemporaneo II Edizione “ presso Scuderie di Villa Favorita, Ercolano (NA)
  • 8 Settembre 2019 – Mostra d’arte collettiva “Le Forme dell’acqua” presso Rocca Paolina – Perugia
  • 11 Agosto 2019 – Mostra d’arte collettiva “ Tempus Fugit 2.0 “ presso Rocca Paolina. Perugia
  • 20 Luglio 2019 – Mostra d’arte collettiva “ Rinascimento Contemporaneo “ presso Castel dell ‘ Ovo Napoli
  • 15 Giugno 2019 – Mostra personale di Francesco Loliva presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • 8 Giugno 2019 – Mostra personale di Alfredo Cordova Presso il Palazzo Ducale ” Sanchez De Luna ” di Sant’ Arpino (CE).
  • 18 Maggio – Mostra personale di Fabio Lalli presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • 19 Maggio – EN PLEIN AIR Mostra d’arte collettiva presso il Museo Campano di Capua
  • 6 Aprile 2019 –TEMPUS FUGIT Mostra d’arte collettiva presso lo spazio “la casa degli artisti” Perugia
  • Febbraio 2019 – EX VOTO Mostra d’arte collettiva presso il Museo Provinciale Campano di Capua (CE)
  • Gennaio 2018- Mostra personale di Francesca Falli presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Gennaio 2018- Mostra personale di Francesca Lioce presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Febbraio 2018 – “ VisiOni “ mostra d’arte Personale di Miretta Sparano, presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE )
  • Settembre 2018 – ART ESCAPE mostra d’arte collettiva presso Palazzo Zenobio Venezia
  • Novembre 2018 –VIBRAZIONI CROMATICHE mostra d’arte collettiva presso Galleria il Cerchio Cromatico di Genova
  • Ottobre 2017- Direttore artistico e ideatore della Biennale d’arte contemporanea di Caserta (con 15 Nazioni Partecipanti)
  • Aprile 2017 – DUCTUS 2.0 mostra d’arte collettiva presso sala Roesler di Tivoli Roma
  • Luglio 2017 – ART TRAVELS Mostra d’arte collettiva presso Health Alliance di New York
  • Maggio 2016 –TERRA FELIX mostra d’arte collettiva presso il Castello di Riardo Caserta
  • Maggio 2016 – DUCTUS mostra d’arte collettiva presso galleria Kouros di Aversa Caserta
  • Luglio 2016 – CONTROTENDENZA mostra d’arte collettiva presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Settembre 2016 – BORDERLINE mostra d’arte collettiva presso il Castello di Riardo Caserta
  • OTTOBRE 2016 – Mostra personale di Rosario Ascione presso palazzo Salzano Santa Maria Capua Vetere (CE)
  • Settembre 2016 – PATHOS mostra d’arte collettiva presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Novembre 2016 – CRISTO VOLTO DELL’UOMO mostra d’arte collettiva presso il Duomo di Caserta Vecchia (CE)
  • Gennaio 2015 – Mostra personale di Carlo Ciavolino presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Gennaio 2015 – REGOLA D’ARTE 2.0 mostra d’arte collettiva presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Gennaio 2015 – Mostra personale di Rosario Ascione presso il Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere (CE)
  • Febbraio 2015 – Mostra personale di Salvatore Fiore presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Marzo 2015 – Mostra personale di Luigi Arzillo presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Luglio 2015 – PASSAGGI ARTISTICI mostra d’arte collettiva presso il castella Ducale di Sessa Aurunca (CE)
  • Aprile 2014 – IL NOBILE GIOCO DELL’ARTE mostra d’arte collettiva presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Maggio 2014 – Mostra personale di Luca Dall’Olio presso Art Zone di santa Maria Capua Vetere (CE)
  • Luglio 2014 – TRASLAZIONI ARTISTICHE mostra d’arte collettiva presso la Galleria Toro di Sessa Aurunca (CE)
  • Maggio 2014 – EQUILIBRI ARTISTICI mostra d’arte collettiva presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Settembre 2014- VIBRAZIONI E SEGNI CONTEMPORANEI mostra d’arte collettiva presso il Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio (CE)
  • Dicembre 2014 – Mostra personale di Alessandro Fardelli presso Punto Arte Coronas di Santa Maria Capua Vetere (CE)
  • Marzo 2013 – Mostra personale di Athos Faccincani presso spazio espositivo ART ZONE di Santa Maria Capua Vetere (CE)
  • Aprile 2013 – AFFINITA’ E VARIABILITA’ CONTEMPORANEE mostra d’arte collettiva presso il Quartiere Borbonico di Casagiove (CE)
  • Maggio 2014 – VISUAL ART, Mostra Collettiva Galleria MG – Amsterdam (NL)
  • Luglio 2013 – MEETING ART mostra d’arte collettiva presso il museo d’arte contemporanea Capua (CE)
  • Ottobre 2013 – Mostra personale di Beppe Francesconi presso il cento culturale “Il Pilastro” di Santa Maria Capua Vetere (CE)
  • Novembre 2013 – WEEK END DI CAPOLAVORI mostra d’arte collettiva presso la Galleria “De Nisi”
  • Aprile 2012 – 800/900 NAPOLETANO mostra d’arte collettiva presso Punto Arte Coronas di Santa Maria Capua Vetere (CE)
  • Giugno 2012 – ENERGIA DEL SEGNO mostra d’arte collettiva presso il Museo d’arte contemporanea di Capua (CE)
  • Gennaio 2012 – DIVERGENZE mostra d’arte collettiva presso il Museo d’arte contemporanea di Capua (CE)
  • Aprile 2011 – LA SINCRONIA DEL CAOS mostra d’arte collettiva presso il Museo d’arte contemporanea di Capua (CE)
  • Giugno 2011- PENSIERO VISIVO mostra d’arte collettiva presso il Museo d’arte contemporanea di Capua (CE)

REALIZZAZIONE TESTI CRITICI PER GLI ARTISTI:

Iula Carcieri, Rossella Cavagnuolo, Carmela Cusano, Rosanna Di Carlo, Giuliana Farinaro, Luigi Guarino, Gianpaolo Iannelli (Jagi), Francesco Loliva, Carmine Carlo Maffei, Francesco Minopoli, Jack Ottanio, Simonetta Pantalloni, Andrea Pesciaioli, Renzo Sbloci, Grazia Smilovich (Josa), Miretta Sparano, Giuseppe Staro.

Come nasce la Pinacoteca

La Pinacoteca Massimo Stanzione

La formazione di una pinacoteca è sempre lo specchio di un tempo, dei suoi uomini e delle vicende che essi hanno saputo e voluto animare. Una pinacoteca non è, infatti, un mero contenitore e le opere che essa conserva sono espressione di un disegno collezionistico che travalica, evidentemente, nei modi e nei fini, il dato d’una semplice azione di raccolta. Anche questa Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea “Massimo Stanzione”, ospitata nell’antico palazzo tardo cinquecentesco dei Sanchez De Luna d’Aragona in Sant’Arpino ha tali caratteristiche e può essere utile delinearne ordinatamente un breve profilo. L’azione di accumulazione di un primo nucleo di opere d’arte ha segnato l’avvio della Pinacoteca ed è stata promossa dalla volontà di alcuni cittadini di Sant’Arpino stretti intorno ad un preciso progetto culturale formulato in seno alla “Pro Loco” di promuovere un processo di crescita della sensibilità culturale, utilizzando le arti figurative come veicolo ottimale.
Alla azione della “Pro-Loco” si deve la promozione di alcune mostre estemporanee che hanno avuto il merito di far convergere su Sant’Arpino interessi ed aspettative del mondo dell’arte.
In seguito, quando già il frutto alcune tornate di mostre d’arte contemporanea consentiva di poter contare su qualche decina di pezzi, provenienti, sostanzialmente, da doni di artisti in occasione delle “estemporanee” e da pregevoli opere di giovani artisti esordienti, s’è fatta strada un’opzione più ambiziosa: quella di elevare il profilo qualitativo e di conferire all’azione di intervento espositivo una dimensione non più legata alla pratica spontaneistica delle “estemporanee”, ma modellata secondo un preciso disegno che avesse la capacità di documentare in modo sistematico ed organico la creatività artistica del territorio regionale.
Qualche altra opera si aggiungeva, così, alla raccolta,ma non c’era ancora, evidentemente, quel quid pluris che trasforma una raccolta in collezione e che giustifica la nascita di quel percorso di aggregazioni culturali che una pinacoteca è in grado di promuovere. Intanto, comunque, era stato compiuto un altro passo nella direzione giusta.
Una mostra, in particolare, curata da Rosario Pinto, nel 1998, fu quella che fornì chiara la linea strategica del nuovo corso ed un nuovo progetto. Tale mostra fu quella in cui nelle due sale (allora del primo piano) di palazzo Sanchez De Luna d’Aragona espose la propria produzione, all’insegna di La parola del mio tempo, Stelio Maria Martini, autorevole esponente della corrente artistica della “Poesia Visiva”, straordinario interprete di una grande stagione creativa in Campania e non solo.
Dopo questa mostra che possiamo giudicare di ”svolta” e che valse a convincere definitivamente della necessità di dare un altro profilo alla azione di intervento artistico sul territorio, si rafforza una duplice esigenza nel gruppo di lavoro che già da allora animava l’azione della “Pro-Loco”, al cui interno Rosario Pinto aveva guadagnato una fertile attenzione d’ascolto. L’attività di altri anni di lavoro, in cui abbiamo operato di comune intesa con l’associazionismo di Sant’Arpino, è occorsa non tanto per convincere l’Amministrazione Comunale della bontà del progetto, ma per ravviare tutto l’iter burocratico che si rendeva necessario deliberare per giungere alla definizione di uno status giuridico.
È questo fin qui descritto l’arco di tempo in cui hanno profuso con grande abnegazione ed in perfetto spirito di volontariato la propria attività i Signor : Gino Bagno, Amedeo D’Anna, Antonio Dell’Aversana, Elpidio Iorio, Franco Marroccella, Raffaele Marroccella, Raffaele Persico, Franco Pezone, Aldo Pezzella, Francesco Ziello, coordinati da Rosario Pinto, che continuava a svolgere la funzione di ispiratore delle scelte artistiche e dell’orientamento.
A partire dal 2001, la “Pinacoteca” ha guardato anche al territorio, fornendone testimonianza della produzione artistica e culturale mirando all’obbiettivo di una documentazione più ampia del contesto artistico del secondo cinquantennio in Campania.
Le difficoltà erano ben presenti a tutti quanti hanno contribuito, in quella fase delicatissima della storia della “Pinacoteca”, a superare ostacoli, a svolgere azioni di convincimento, a suggerire opportunità e soluzioni. È stata l’occasione per far crescere ed affermare la voglia di “Pinacoteca” ed è stato anche il periodo in cui si sono cementate amicizie e si sono confermati rapporti intensi e profondi.
È giunta infine a maturazione la svolta decisiva della ufficializzazione della pinacoteca dopo un lungo periodo di gestazione di tutte le dovute procedure amministrative, ed è parsa particolarmente valida l’intitolazione al pittore seicentesco atellano Massimo Stanzione.
Nell’occasione, fu conferito l’incarico di Direttore artistico dell’Istituto appena creato a Rosario Pinto.

Uomini Illustri

Cittadini atellani illustri

Atella, geograficamente equidistante da Napoli e da Capua, fu per molti secoli una città autonoma della Campania e poi una fiorente cittadina dell’impero romano, dotata di una rigogliosa vita commerciale e di una imponente influenza politica. Per questi motivi annovera non pochi personaggi illustri che hanno avuto un ruolo nel panorama storico del loro tempo. Fra essi ricordiamo Gneo Magio che, appartenente a un ramo collaterale di una nobile e potente famiglia capuana trapiantata ad Atella, ricoprì la carica di meddixtuticus durante l’alleanza con Annibale. Questa era una carica pubblica di grande importanza, corrispondente a un sommo magistrato con funzioni di coordinamento della federazione di dodici città alleate. Oltre a Gneo Magio, fra i cittadini illustri di Atella, vanno certamente annoverati anche Mellonia e Caio Celio Censorino. La bella matrona Mellonia nacque ad Atella da una ricca famiglia, fedele al proprio marito che era lontano per affari, si negò alle voglie di Tiberio, gaudente e voluttuoso imperatore romano che spesso trascorreva i suoi ozi nell’isola di Capri. Per vendicarsi del rifiuto di Mellonia, l’imperatore la fece falsamente accusare di adulterio. La virtuosa donna pur di non macchiarsi di quest’infamia preferì togliersi la vita. Altro insigne atellano fu il senatore Caio Celio Censorino, vissuto nel III secolo d.C. Egli ricoprì importanti cariche (tra le quali si ricordano i titoli di comite dell’imperatore Costantino, consolare della Campania, esattore e curatore della via latina) e contribuì notevolmente allo sviluppo urbanistico di Atella, ornandola di splendidi edifici pubblici e migliorandone la viabilità interna. La gens atellana gliene fu molto grata e per celebrarne la magnanimità gli dedicò un bassorilievo marmoreo, che avrebbe dovuto essere sormontato da una statua, in cui venivano ricordati i suoi titoli e i suoi meriti insigni. Vi è infine da menzionare Vestia Oppia, una donna atellana abitante in Capua, citata da Tito Livio nella sua opera Ab Urbe Condita per aver salvato tanti soldati romani dalla fame. Questa donna si prodigò molto per portare cibo ai prigionieri romani dopo che essi erano stati catturati da Annibale e rinchiusi a Capua. La stessa, poi, insieme ad un’altra donna di Capua di nome FaucolaCluvia, fece molti sacrifici agli dei per la vittoria del popolo romano contro i cartaginesi. Il Senato romano, dopo la vittoria contro Annibale, si convinse che i campani tutti, tranne queste due donne, erano nemici dei romani al pari dei cartaginesi e per questo motivo decretò che si restituissero i beni e la libertà solo a Vestia Oppia Atellana e a FaucolaCluvia. I senatori romani decisero anche che se le due donne avessero desiderato un altro premio dal Senato non dovevano fare altro che recarsi a Roma e chiederlo. A molti atellani che invece avevano parteggiato per Annibale furono confiscati i beni, altri vennero rinchiusi in prigione, ad altri ancora fecero distinzione fra ciò che si poteva confiscare e ciò che si poteva lasciare in loro possesso. Il Senato romano dispose poi che i capuani, gli atellani e i calatini fossero liberati a patto che nessuno di loro restasse cittadino romano e decretò che si vendessero in Capua i beni di tutti quelli che esercitassero qualche carica pubblica in Capua, in Atella e in Calatia. Decisero, altresì, di rimettere alla decisone del Collegio dei Pontefici la scelta su quali fra le statue in bronzo sequestrate in Capua e ad Atella fossero sacre e quali profane. Infine siccome Atella, fra la fuga di quelli che avevano seguito Annibale a Thuri, la perdita di quelli che erano morti in battaglia, i dispersi, i deportati, restava ormai spopolata, ordinarono che i nocerini fossero trasferiti ad Atella per ripopolarla.

Fu medico molto noto ed ascese alle vette della scienza medica.

Famoso integerrimo Magistrato, fu 1° Presidente della Corte di Cassazione.Nato il 16 1prile del 1851 e morto il 12 luglio 1923.

E’ stato 58° Vescovo di Troia (Foggia) di cui ha retto il governo diocesano per 25 anni. E’ ricordato nella città pugliese per la sua carità di presule e per le opere che costruì nella diocesi. Nel 1754 abbellisce la Chiesa di S. Elpidio in S. Arpino a proprie spese e col contributo del fratello medico Antonio, costruendo l’altare maggiore e la balaustra in marmo stile barocco.

Padre Pasquale Ziello (1901 – 1976), valoroso e illustre figlio santarpinese (a lui è anche dedicata una strada), virtuoso missionario del PIME, esempio di zelo e santità.

Padre Pasquale non è stato un religioso qualsiasi ma un autentico “sacerdote di santità non comune”, che non esitò a saltare sul corpo del papà che si era steso sulla porta di casa per impedirgli di partire per una missione in paesi situati dall’altra parte del mondo. Ma nel suo cuore risuonava l’eco di anime lontane a lui sconosciute che gli gridavano: vieni a salvarci! Partì e trascorse ben 46 anni di vita missionaria in Birmania, in una condizione non facile, spesso in mezzo alle tribù, tra persecuzioni e maltrattamenti. Anni difficili per la situazione politica e sociale del Paese, in cui si registrò ogni sorta di angheria contro i missionari italiani, tra cui alcuni barbaramente uccisi come il padre Mario Vergara, allievo di padre Ziello.

La profondità della sua vocazione, tuttavia, non si è mai piegata al cospetto del male così come testimonia il suo intenso apostolato caratterizzato da opere concrete e talvolta di cambiamenti radicali, costruì finanche un Cottolengo. Per opera sua il colonnello birmano Maung si convertì al cristianesimo.

Era anche un raffinato intellettuale: oltre 20 le pubblicazioni che portano la sua firma, tra cui un libro molto impegnativo (“Directorium ad usum sacerdotum”) che è ancora famoso ed è tuttora consultato da teologi e vescovi. Fu anche un eminente studioso di diritto canonico.

Rientrò nel 1974 in Italia. Dopo due anni, morì a Rancio di Lecco nella Casa di Riposo del P.I.M.E. e fu seppellito nel piccolo cimitero dei missionari alla Villa Grugana, in Calco (Co), ove ha riposato fino all’altro giorno quando – così come da lunghi decenni sperato e sognato dai suoi conterranei – è stato trasferito a Trentola Ducenta.

 

 

 

 

Abate, autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico. Fù direttore degli studi di lettere alla Scuola Militare Nunzitella. Come storiografo di Atella è ricordato per l’opera postuma “RICERCHE STORICHE E CRITICHE SULLA ORIGINE, LE VICENDE E LA ROVINA DI ATELLA ANTICA CITTA’ DELLA CAMPANIA” (1840).

Tra gli illustri personaggi di Sant’Arpino regna sovrana la figura di Vincenzo Legnante, medaglia d’oro del foro degli avvocati di Napoli, per oltre un decennio Sindaco di Sant’Arpino nonché storico dell’Antica Atella. Nato a Sant’Arpino nel 1897 e ivi defunto nel 1979, l’Avv. Vincenzo Legnante ha sempre amato ed è sempre stato legato alla sua terra.

Avvocato, partecipò alle vicende della Rivoluzione Napoletana del 1799 sulla sponda borbonica come Capo della Polizia e Ministro di Ferdinando IV. Prese parte al processo contro gli insorti assumendo una posizione favorevole per alcuni di essi (Luisa SANFELICE e Domenico FIORE).

Fu Consolare della Campania, ai tempi di Costantino il grande. Nell’anno 330 dell’E.V.
Egli ampliò ed abbellì la sua patria città. Ecco la iscirzione innalzatagli dai suoi concittadini atellani:

 

C. CAELIO. CENSORI.
NO V. C. PRAEF. CANDI
DATO CONS. CVR. VIAE
LATINAE CVR. REGIO. VII.
CVR. SPLENDIDAE. CAL
THAG. COMITI D. N.
COSTANTINI MAXIMI AVG
ET EXACTORI AVRI ET ARGENTI
PROVINCIARVM III. CONS. PRO
VINC. SICIL. CONS. CAMP. AVCTA
IN MELIVS CIVITATE SVA ET REFOR
MATA ORDO POPVLVSQVE ATELLANVS
L. D. S. C.

 

Questa iscrizione si trovava un tempo, in un gran piedistallo fabbricato appiè del Campanile di Grumo.

 

Nacque nel 1695 dal Dott. D. Tommaso e da D. Cecilia Giannettasio, e morì ai 26 di ottobre del 1760. Avvocato di grido, fu autore delle due celebratissime Memorie, tante volte citate, in difesa di Sant’Arpino: “DIFESA DELLA TERRA DI S. ARPINO E DI ALTRI CASALI ATELLANI CONTRO LE CITTA DI NAPOLI E AVERSA” (1755) e “CONTINUAZIONE DELLA DIFESA…..” (1757). Nella disputa con i due Colossi dell’epoca egli uscì vittorioso dando lustro alla sua terra natia.

Medico famoso, fu storico di Atella oltre che autore di numerose pubblicazioni tra le più importanti “Memorie Storico-Critiche sulla vita di S. Elpidio Vescovo Africano”.

È celebre nella storia, perché non avendo voluto concedere al vecchio Imperatore Tiberio, e fatta perciò falsamente accusare di adulterio, si privò un bacio bentosto della vita per non soffrire l’infamia.

 

Vescovo di Acerra e S. Agata dei Goti. Fù ministro della Giunta dei Vescovi e Consigliere del Re Ferdinando IV.

 

 

Parroco nato nel 1593. Sostenne il peso di questa Cura Parrocchiale per lo spazio di 46 anni, e morì nel 2 maggio 1665. Fu Dottore in Legge, socio e corrispondente dei Bollandisti ed amico dell’Augeri.

 

 

I Santi Patroni

Sant’Elpidio

Scultura lignea policroma raffigurante S. Elpidio vescovo, Patrono di Sant’Arpino. La scultura è in legno di castagno e risale all’ultimo quarto del VX secolo. La statua si trovava in pessime condizioni, è stata recentemente restaurata grazie all’impegno del Comitato festeggiamenti per S. Elpidio e all’aiuto economico di devoti benefattori. L’opera di restauro è stata svolta dal prof. Umberto del Monaco collaborato da Tizzano Elvira e La Canna Eva.

Cenni sulla vita di Sant’ Elpidio

E’ celebrato il 1° settembre dal Martirologio Romano, il cui latercolo riepiloga una non antica leggenda secondo la quale Elpidio fu uno dei dodici vescovi o preti africani che, durante la persecuzione vandalica del V sec. o durante quella ariana del IV, dopo vari tormenti furono caricati su di una vecchia nave senza remi e senza vele perché morissero in mare. Ma la nave non affondò e, spinta da correnti favorevoli, raggiunse la Campania. Tale leggenda, come avevano già sospettato il Ruinart ed il Tillemont e come dimostra ampiamente il Lanzoni, è recente (sec. XII) e non merita alcuna fiducia: essa non fa che riprendere e rifare, ampliandoli, altri episodi del genere, come quello del vescovo di Cartagine Quodvultdens giunto coi suoi chierici a Napoli nel 439-440. Il Lanzoni vede in tutti i dodici nomi, vescovi o santi locali. Prima, infatti, che in tale leggenda, il nome di Elpidio appare in altre fonti ben più importanti.
La passio del martire atellano s. Canione dice che il vescovo Elpidio eresse una basilica sul suo sepolcro ed anzi ne riporta l’iscrizione dedicatoria col nome del costruttore. Un altro documento, la Vita S. Elpidii, lo celebra al 24 maggio, lo dice fratello di s. Cione, zio di s. Elpicio, non altrimenti noto, e vescovo di Atella ai tempi di papa Siricio (384-399) e di Arcadio (395-408): questi dati cronologici sono probabilmente quelli giusti. Gli Atti della traslazione di s. Atanasio di Napoli ci informano che in Atella nell’872 vi era una ecclesia S. Elpidii, mentre un istrumento notarile dell’820 testimonia che già in quell’epoca tutta la zona circostante era chiamata S. Elpidio (oggi S. Arpino). E, finalmente, il Calendario marmoreo di Napoli (cf. Mallardo, op. cit in bibl., p. 21) ne celebra la memoria al 15 gennaio con le parole: ET s. EEPIDII EPI[SCOPI]; e, malgrado che l’identità della data abbia fatto concludere al Delehaye che in questa nota si tratti dell’omonimo Elpidio, celebrato pure al 15 gennaio dal Sinassario Costantinopolitano, il Lanzoni ed il Mallardo accettano la tradizione di quegli studiosi che videro celebrato nel Calendario marmoreo il vescovo di Atella, perché l’Elpidio bizantino non consta fosse vescovo.
Distrutta la città con l’invasione longobarda, pare che alcuni cittadini atellani, portando con sé i corpi di Elpidio, Cione ed Elpicio, si rifugiassero a Salerno, dove le sacre reliquie vennero collocate sotto un altare dell’antica cattedrale. Il clero di Salerno da secoli ne celebra la festa liturgica al 24 maggio. Recentemente, nel 1958, l’arcivescovo Demetrio Moscato ha voluto compiere una ricognizione canonica delle reliquie dei santi che la storia salernitana confermava essere sepolti nella cripta del duomo, propriamente sotto l’altare denominato “dei santi confessori”. Fra le altre reliquie furono rinvenute anche quelle dei tre santi Elpidio, Cione ed Elpicio, ivi collocate dall’arcivescovo Alfano I nel marzo 1081, come è chiaramente detto in un’iscrizione marmorea, collocata dal medesimo arcivescovo nella parte interna della lastra di copertura delle reliquie, che ora avranno nuova decorosa sistemazione. Anche nella lista episcopale di Reggio Emilia, si incontra un Elpidio, vescovo di Atella, che, distrutta la sua sede, cercò rifugio nientemeno che a Reggio Emilia, città di cui sarebbe stato vescovo dal 448 al 453; morto, sarebbe stato sepolto, non si comprende per quale motivo, a Salerno. Il Lanzoni, accennando a queste notizie, le ritiene, e non a torto, “un ammasso mostruoso di errori”.

S. Elpidio nasce molto probabilmente a cavallo fra il 388 ed il 395 d.C. Di famiglia illustre, il Santo aveva un fratello di nome Canione ed un nipote di nome Elpicio, entrambi divenuti sacerdoti.
Il nome Elpidio deriva del termine greco “elpis” che significa speranza, per cui Elpidio significa “colui che spera in Dio”. Divenuto sacerdote, Elpidio fu consacrato vescovo a 30 anni, nel 420 circa. Intorno al 432 diviene vescovo di Atella. Rimane vescovo di Atella per circa 22 anni. La data della sua morte è da collocarsi fra il 452 ed il 457. Numerosi sono i miracoli compiuti dal santo. Fra questi quello più noto avvenne nel luglio del 1809, quando un vecchio paralitico di Sant’Arpino, un certo Carmine Tanzillo, riprende a camminare normalmente dopo che S. Elpidio gli è apparso in visione. Il corpo del Santo è stato conservato nella chiesa di Atella (da lui edificata nel posto ove ora sorge il palazzo Ducale) fino al ‘787 .in quell’anno a seguito delle incursioni dei Longobardi, alcuni atellani per paura che le reliquie del Santo fossero rubate le trasportarono nella città di Salerno, ove attualmente continuano ad essere custodite nel Duomo della città.

San Canione

Nacque a Iulia (Cartagine) nella prima metà del III secolo. La sua biografia ci è stata tramandata nella Passio SanctiCanionis, documento conservato nella cattedrale di Acerenza, e da altri documenti agiografici.Durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano il vescovo Canio, avendo rifiutato di fronte al Prefetto Pigrasio di venerare gli idoli e di riconoscere la divinità dell’imperatore, fu sottoposto a torture di ogni tipo e imprigionato nella speranza che la fame, gli stenti e le torture piegassero la sua resistenza. Si narra che il futuro santo tra gli stenti continuava nel carcere ad annunciare il Vangelo e a convertire con la parola e la sofferenza quanti lo avvicinavano.Informato dell’ostinata resistenza del prigioniero il Prefetto lo condannò alla decapitazione. Un violento nubifragio accompagnato da terremoti spaventò i soldati ed il boia i quali si dettero alla fuga. Il vescovo Canio con alcuni fedeli poté così imbarcarsi su un vecchio natante e con quello fortunosamente approdò nei pressi del Volturno.Ad Atella (l’attuale Sant’Arpino), dove predicò il Vangelo, gli sono attribuiti molti miracoli. Nell’anfiteatro di Atella un uomo in fin di vita per una angina pectoris si disse guarito al tocco delle mani del santo. Una donna cieca di nome Eunemia ottenne la vista, un ragazzo posseduto dai demoni ne fu liberato.Ormai vecchio e malato il vescovo Canio si ritirò in un eremo, dormendo in un folto roveto dove lo colse la morte. Il vescovo Elpidio, informato prodigiosamente della morte del santo, eresse sul luogo un piccolo tempio per custodirne le venerate spoglie, e in fronte alla basilica pose questo distico: Elpidiuspraesul hoc templumcondiditalmum, o Canio martyr, ductus amore tuo.
Intorno all’800 il vescovo di Acerenza Leone costruì la cattedrale sui resti di un antico ciborio e traslò da Atella il corpo di san Canio. Nel 1080 secondo il cronista Lupo Protospata, inventum est corpus Canionis, fu ritrovato il corpo di san Canio e sotto la protezione del santo pose la nuova cattedrale e la diocesi. Nel 1543 in occasione della visita pastorale del cardinale Saraceno risulta a verbale che il prelato con altri notabili ecclesiastici e laici
«venne di mattino dove si trova l’altare maggiore nel quale è deposto il Sacro Corpo di San Canio martire come gli fu detto da tutti, come questo non poteva essere visto perché è sotto l’altare maggiore fabbricato»
Nel deambulatorio della Cattedrale attualmente sotto l’altare di san Canio si conserva il pastorale del santo vescovo, ritenuto miracoloso. L’esposizione e la venerazione di questa reliquia testimonia la consapevole vocazione all’evangelizzazione della diocesi di Acerenza: infatti diventerà punto di riferimento importante per la storia civile e religiosa del mezzogiorno d’Italia.Altri luoghi dove si venera San Canio sono Calitri, in provincia di Avellino, all’interno della cui chiesa parrocchiale è custodita la reliquia di un dito; oltre alla venerazione di San Canione, la cui parrocchia si trova a Sant’Arpino, nella provincia di Caserta, ove si svolge, il martedì in Albis, una festa religiosa di origini pagane alla quale intervengono gli abitanti dei paesi vicini.

Sant’Arpino Oggi

Sant’Arpino Oggi

Per tradizione sembra derivare il proprio nome dalla corruzione volgare di S. Elpidio – suo Santo Protettore. Situato a 42 m. s.l.m. S. Arpino ha una estensione di 3,2 Kmq. Confina a Nord con Succivo, ad Est con Orta di Atella e Frattaminore, ad Ovest con S. Antimo e Cesa, a Sud con Grumo Nevano e Frattamaggiore. Fa parte della Provincia di Caserta. Come gli altri Comuni di derivazione atellana occupa parte del territorio di Atella. I ritrovamenti archeologici avvenuti nel tempo sul territorio di S. Arpino si limitano quasi esclusivamente a materiale di necropoli. Ha avuto uno sviluppo edilizio abnorme in rapporto alla piccola estensione territoriale, soprattutto dopo il sisma del 1980 che ha portato in paese numerosi nuovi nuclei familiari provenienti dell’hinterland napoletano. Le attività sono concentrate soprattutto nel settore terziario. Abbandonata da quasi un ventennio la vocazione agricola che lo caratterizzava, anche per la sopravvenuta mancanza di terreno coltivabile. Ha un bellissimo centro storico facilmente riconoscibile dal resto dell’intero nucleo abitato, con edifici costruiti tra il 1500 e la metà del 1800.

CITTA’: SANT’ARPINO
C.A.P.: 81030
PROVINCIA: CASERTA
REGIONE: CAMPANIA
ALTITUDINE: 43 m.s.l.m.
SUPERFICIE: 3,3 Kmq
ABITANTI: 14.762

FAMIGLIE 4198 – Maschi 7.087 Femmine 7.401

Dati aggiornati al 31.12.2017

Parco Archeologico

Parco Archeologico

«Nell’ambito del saggio denominato integrale sono stati individuati i resti di un importante complesso termale di epoca romana a carattere pubblico, resti sufficienti per connotare il parco archeologico». In queste poche righe dal linguaggio burocratese, c’è il senso, la svolta, la portata storica dei lavori per la realizzazione del Parco Ambientale Archeologico di Atella. A scrivere è la Soprintendente per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta che, in data 12 luglio 2010, riferisce al Comune di Sant’Arpino che grazie ai rinvenimenti della recente campagna di scavi finalmente possiamo denominare archeologico il costruendo parco. E ciò dimostra che per la civiltà atellana nulla è stato sinora scontato. Secoli di ricerche e studi su Atella non sono stati di per sé sufficienti a dare una cognizione più attendibile della stessa. Occorreva battere la strada che porta al contatto con quella fisicità fatta di mura, strada, resti di edifici, manufatti, anfore, vasi e bassorilievi, per svelare un inedito lato culturale e storico, oltre che artistico di Atella. In altre parole occorreva scrutare la dimensione “archeologica” di Atella. Da anni, Sant’Arpino conserva una fetta di territorio, da tutti definita “zona archeologica”. Tale enunciazione popolare, tuttavia, benché suffragata anche da studi condotti nel secolo scorso da autorevoli studiosi, su tutti ricordiamo Johannowsky, non aveva ancora portato a quell’automatismo burocratico che consente di connotare ufficialmente come archeologica quell’area e il parco che su di essa si sta costruendo. Il primo obiettivo dunque è centrato: la burocrazia ci autorizza a “fregiarci” del titolo “archeologico”! Sembra banale quanto finora riportato ma basta questo per capire che su molti aspetti, anche quelli più elementari, della nostra amata e scomparsa città osca veleggia una cupa incertezza. Ma se analizziamo questa vicenda da un’altra angolazione, scorgiamo anche il rovescio della medaglia. La campagna di scavi, avviata nel gennaio del 2010, ha svelato aspetti inediti che i più ritenevano assodati ma che in realtà non erano tali. Dissotterrare in tutti i suoi aspetti la storia di un popolo oramai sepolto dalla polvere dei secoli era l’obiettivo principale dell’opera. E i frutti non si sono fatti attendere. Da assessore ai lavori pubblici del Comune di Sant’Arpino, ho avuto l’onore e il privilegio di presenziare da protagonista a questa fase storica per la comunità atellana. La mattina del 20 gennaio 2010, ci siamo radunati in tanti per “inaugurare” la nuova campagna di scavi, che segue, esattamente 45 anni dopo, quella avvenuta nel corso del mandato del sindaco Vincenzo Legnante. Sul posto, oltre alle figure istituzionali anche i rappresentanti di quelle associazioni che non hanno mai smesso di credere in questo obiettivo. Mi riferisco all’Archeoclub di Atella, all’Istituto di Studi Atellani, alla Pro Loco di Sant’Arpino. «Il loro sogno sarebbe quello di destinare tutta la zona a parco archeologico, acquistare i terreni, far proseguire gli scavi». “Loro” sono gli amministratori atellani degli anni sessanta, del cui pensiero si ha traccia nelle cronache giornalistiche che accompagnarono la prima campagna di scavi del 1966. E dopo circa mezzo secolo, all’ombra del Castellone, solitario reperto atellano, probabilmente avanzo di un edificio termale imperiale dell’età dei Flavii, il sogno degli atellani diventa finalmente realtà: il parco archeologico è in costruzione, i terreni sono stati espropriati e recintati, i saggi sono in fase avanzata. In questa sede è utile, però, per amore di verità e per opportuna ricostruzione, tracciare un sommario percorso, dagli inizi del 1900 a oggi, riportante le tappe cruciali di questo * Assessore ai Lavori Pubblici ed Urbanistica del Comune di Sant’Arpino. cammino verso il sapere che dalle fonti testuali decide di passare all’indagine archeologica per una conoscenza storico – antropologica delle vicende atellane, inquadrando le stesse in un nuovo contesto culturale ed evolutivo. Foto ricordo in occasione dell’inaugurazione della campagna di scavi Tra le indagini più accreditate dei primi anni del Novecento, figurano i cinque saggi effettuati nel 1908 da Giuseppe Castaldi all’interno dell’antica città, delimitata dal fossato che la recingeva e che formava una grande terrazza quadrata e sopraelevata di alcuni metri rispetto alla campagna circostante. Castaldi, tra l’altro, rinvenne tracce di una strada antica in basolata in vico Cerri. Sempre Castaldi, con particolare attenzione studiò la strada detta Ferrumma (oggi via Compagnone), la quale ricalca quello che doveva essere il Decumano che divideva in due la città. Negli anni a venire, nel 1934, altri saggi interessanti furono quelli dell’ispettore Chianese compiuti presso il Castellone. Nello stesso anno, durante lo scavo delle fondazioni per la costruzione del Municipio di Atella di Napoli, fu scoperto un tesoretto di monete atellane. Il Municipio fu edificato proprio «nel bel mezzo di quella grande area, fra i campi, ubicandolo, inconsapevolmente e fatalmente, là dove era uno dei centri vitali dell’antica città, forse nel Foro, di contro al gran rudere romano del Castellone che torreggia solitario tra i filari alti delle viti». La descrizione è di Amedeo Maiuri, uno dei più importanti archeologi del nostro tempo che, nel gennaio del 1935, con la sua proverbiale maestria, nell’ambito di un’attività di esplorazione delle più interessanti esperienze archeologiche campane, s’interessò anche di Atella sintetizzando, poi, i risultati del suo lavoro nella pubblicazione Passeggiate Campane. Altre notizie di scavi di modeste dimensioni sono coeve alla sistemazione del canale collettore nella zona Succivo – Frattamaggiore. Giungiamo, intanto, agli anni sessanta. A Sant’Arpino, durante i lavori di sistemazione della rete fognaria in piazza Umberto I, emerge dal sottosuolo un’incantevole sfinge in calcare tenero, pertinente evidentemente ad un monumento sepolcrale (III sec. a.C.), molto simile alle sculture di ambiente ellenistico. La sensazionale scoperta generò, nella gente e nell’amministrazione comunale guidata dal sindaco Di Carlo, un rinnovato e quanto mai inedito interesse per il lato culturale e storico della ricerca archeologica, oltre che per quello artistico. Si organizzarono convegni e iniziative varie che di fatto agevolarono la strada agli scavi del marzo 1966 che interessarono un’area di circa 5 mila mq. La campagna di scavi, diretta dall’archeologo Werner Johannowsky, dopo oltre due millenni, portò in superficie inedite testimonianze della civiltà atellana, tra cui un meraviglioso pavimento a mosaico policromo in peristilio, le mura di una grande casa, un ambiente termale, la testa di una statua muliebre in marmo. Tanto bastò a sollevare un enorme clamore: sul posto arrivarono inviati della carta stampata e delle televisioni, scolaresche, studiosi e tantissimi curiosi. Tutti assistevano al disvelarsi di una storia che si è immortalata nel suolo, facendosi avvincere dal fascino dell’eterno e dal mistero della vita. Gli scavi proseguirono con l’intento di trovare tracce del teatro, del foro, della basilica e dell’anfiteatro. Di quest’ultimo, che dovrebbe essere tra i più antichi della Campania, parla Svetonio riferendo che proprio nell’anfiteatro atellano i nemici di Tiberio, alla sua morte e mentre il corteo si avviava verso Roma, volevano bruciarne la salma in segno di damnatio memoriae. Gli scavi, però, a causa delle scarse risorse a disposizioni, cessarono, infrangendo i sogni di quanti speravano di “toccare” l’anfiteatro. Il sistema viario e la centuriazione del territorio di Atella (da Bencivenga Trillmich 1984) Ma la campagna oltre a dare delle conferme scientifiche importanti sull’ubicazione di Atella, aveva soprattutto creato un clima di entusiasmo nella gente cosciente di trarre dalla scoperta di Atella una fonte di ricchezza e di sviluppo locale come efficacemente riportato nelle cronache del tempo firmate dal giornalista Arturo Fratta. Il sindaco Legnante, che aveva seguito con particolare le operazioni di scavo, si adoperò subito con i colleghi dei comuni limitrofi, per costituire il Consorzio Archeologico Atellano, al cui interno fu istituita una commissione presieduta dal giudice Domenico Galasso, Pretore di Frattamaggiore e appassionato di archeologia. La finalità del consorzio era quella di reperire ulteriori fondi per la prosecuzione degli scavi. Ma il loro sogno era soprattutto quello di realizzare un Parco Archeologico mediante esproprio dei terreni ricadenti nel perimetro dell’antica città. Seguirono anni difficili, le risorse non arrivarono e il sogno rimase tale. L’area archeologica fu abbandonata al suo destino, in preda all’opera devastatrice di tombaroli: furono irrimediabilmente compromessi i siti e numerosi reperti andarono perduti. L’amore per la (ri)scoperta del passato continuava a nutrire i cuori di tanti atellani e di diverse associazioni, nel frattempo costituitesi con il precipuo scopo di salvare le testimonianze archeologiche (vedi Istituto di Studi Atellani, Archeoclub di Atella, Pro Loco di Sant’Arpino). Questi sodalizi, creati da quei giovani che in qualità di studenti avevano assistito agli scavi del 1966, riescono a dare un impulso forte alla conoscenza dell’antichità, promuovendo sia la pubblicazione di testi di buon valore scientifico che la costituzione di istituzioni culturali permanenti, tra cui un museo per accogliere le testimonianze materiali atellane (vedi inaugurazione del Museo Archeologico di Atella avvenuta in Succivo il 5 aprile del 2002). L’edificio che ospitava il municipio di Atella di Napoli La comunità atellana, non smette mai di inseguire questo sogno: si organizzano dibattiti, convegni, incontri vari per capire le strade possibili da intraprendere per arrivare al fatidico obiettivo. Il sistema viario e la centuriazione del territorio di Atella è l’oggetto di uno studio effettuato da Bencivenga Trillmich nel 1984 che tra l’altro scrive: L’evoluzione urbana di Atella non può essere definita con precisione, se non nel perimetro di forma trapezoidale delle mura in grossi blocchi di tufo provviste di un ampio fossato e databile tra la metà del IV secolo o agli inizi del III secolo a.C. All’interno del centro abitato sono stati individuati gli assi viari principali tra cui il Cardus Maximus, il Decumanus Maximus e un altro decumanus a sud, oltre ad un reticolo di strade minori con un orientamento nordest/sudovest che differisce da quello della centuriazione di II secolo a.C. Tra gli anni ottanta e novanta, s’intravedono dei timidi tentativi di progettazione dell’opera (vedi delibera di Consiglio Comunale n° 271 del 18/12/86 con cui si conferiva l’incarico professionale per la redazione del progetto di recupero e valorizzazione dell’antica città di Atella, in attuazione della legge 64 del 1986, più volte approvato ed in ultimo aggiornato con delibera di Giunta comunale n. 62 dell’8 marzo 1991). Un tecnico impegnato nelle indagini geofisiche nell’area del parco Ma è dal 1996 in poi, con l’allora sindaco Giuseppe Dell’Aversana, che l’obiettivo del parco compie dei decisivi passi in avanti. In questi anni, infatti, il Comune di Sant’Arpino redige e sottoscrive il protocollo d’intesa con la Soprintendenza Archeologica competente e i comuni atellani e, quindi, approva il progetto esecutivo del parco (vedi delibera di Consiglio comunale n. 81 del 12 novembre 1996 con cui veniva approvato il protocollo d’intesa per il Parco Archeologico di Atella, sottoscritto tra Ministero dei Beni Culturali, Soprintendenza Archeologica per le province di Napoli e Caserta e Comune di Sant’Arpino). Tuttavia, risulta determinante per la definizione dell’annosa vicenda, la “storica” visita a Sant’Arpino – il 28 agosto del 2002 – del Premio Nobel Dario Fo che, intervenuto a sostegno della Rassegna Nazionale di Teatro Scuola PulciNellaMente, sollecitò il governatore Antonio Bassolino a dare una risposta forte e concreta sull’istanza del parco che giunse esattamente dopo un anno. Infatti, il 4 agosto 2003, sindaco Giuseppe Savoia, la Regione Campania comunica l’assegnazione di 4.878.233,00 euro quale finanziamento per la realizzazione del parco. Il 23 ottobre 2003, il presidente Bassolino nella sala convegni del Palazzo ducale Sanchez de Luna, ufficializza il finanziamento dichiarando: Il 28 agosto del 2002 è una data storica per l’area atellana. E’ la data della visita di Dario Fo, che ora pare destinata a cambiare la sorte della periferia dimenticata tra Napolie Caserta. La Regione ha stanziato cinque milioni di euro per il Parco urbano, archeologico e ambientale che farà rivivere l’antica Atella, città risalente al IV secolo avanti Cristo, allora tra le più importanti della Penisola. Gli archeologi si aspettano di recuperare le strade, gli edifici, l’anfiteatro, il teatro. Lo stesso che fu con le sue fabulae la culla della nostra commedia dell’arte. Dopo più di duemila anni, la storia restituisce al territorio atellano quel che gli spetta di diritto, riempiendo il nuovo contenitore del Parco con un progetto che trasforma il teatro – scuola fatto dai ragazzi e inventato sei anni fa con la rassegna “Pulci Nella Mente” in un evento nazionale. Che farà di Sant’Arpino la Giffoni del Teatro. Intorno a un’area aggredita dall’edilizia legittima e no, il progetto che farà partire gli scavi archeologici, per la prima volta con una gestione mista, comuni – soprintendenza, dovrà strappare con le unghie nuove aree da esplorare. E se ci saranno scoperte importanti ci saranno altri finanziamenti per scavare, recuperare, valorizzare. L’inizio dei saggi di scavo Con un apposito e dettagliato programma di intervento, il finanziamento della Regione Campania per il Parco Archeologico della città di Atella, fu distinto in due moduli: – il primo denominato Museo Archeologico di Atella e sistemazione aree esterne museo, progetto esecutivo per l’importo di 2.450.000,00 euro; – il secondo denominato Parco Archeologico di Atella e restauro del “Castellone”, progetto esecutivo per l’importo di 2.428.233,00 euro. Il 19 ottobre 2005, partono finalmente i lavori del modulo uno che termineranno poi nel 2009 con il restauro dell’edificio ex podesteria della fu Atella di Napoli. La splendida struttura si sviluppa su quattro livelli (seminterrato, rialzato, primo e sottotetto), ciascuno dei quali di circa 450 mq per una superficie utile complessiva di circa 1200 mq. Primi ritrovamenti Il modulo due è preceduto dall’occupazione dei terreni da espropriare nell’ambito del finanziamento regionale, la cui superficie ammonta a circa 65 mila metri quadrati. È bene precisare che si tratta comunque solo di una porzione dell’area da destinare a parco archeologico che, stando all’originario progetto, in futuro si dovrà estendere su una superficie di circa 240 mila mq. Tra il 21 agosto e il 1° settembre 2006 è stata effettuata una campagna di indagini geofisiche con la tecnica della magnetometria su un’area di cinque ettari, da parte di un team di esperti dell’Archaeological Prospection Services di Southampton (APSS) e della British School at Rome (BSR). Il lavoro si proponeva di determinare l’estensione e di elaborare una carta delle strutture archeologiche ancora interrate dell’antica città di Atella. E’ utile riportare alcuni tratti salienti dei risultati dell’indagine che nonostante alcune interferenze (recinzioni metalliche, rifiuti metallici, eccessiva vegetazione, natura vulcanica e quindi dotata di magnetismo del terreno) ha individuato con successo un certo numero di anomalie di natura archeologica che sembrano riconducibili alla struttura urbana ed al reticolo stradale dell’antica città romana. La presenza di interferenze e disturbi moderni nel sito – è testualmente scritto nella relazione finale delle indagini – unita ad una natura spesso effimera delle strutture archeologiche, ha causato alcuni problemi alla prospezione magnetometrica ed alla successiva fase di interpretazione dei risultati. Comunque, nel sito è risultata chiara la presenza di una serie di strutture interrate che, una volta combinate insieme, mostrano il quadro urbano della città. La zona meridionale d’indagine (particelle 41, 81, 33, 503 e 504) è stata quella più soggetta ad attività di scavo ma ha permesso di individuare e localizzare con precisione le strutture scoperte nei precedenti sondaggi. L’insieme delle anomalie positive [M9] nell’area occidentale mostra l’esistenza di alcuni edifici e permette di delineare la struttura urbana della città. Nella parte settentrionale dell’area d’indagine (particella 30) ha rivelato la presenza di strutture archeologiche complesse, in particolare [M4], che mostra un insieme di numerosi resti interrati. Inoltre, diverse evidenze archeologiche hanno un orientamento dissimile rispetto alle altre anomalie positive individuate, fatto che potrebbe indicare una diversa fase di occupazione del sito. In conclusione, la tecnica magnetometrica ha permesso di individuare una serie di resti interrati che sembrano parte della città antica. La maggior parte di queste anomalie ha un orientamento parallelo o perpendicolare al sistema viario cittadino, confermando la struttura ipotizzata dell’abitato. Questa prospezione, quindi, potrà servire come utile strumento per guidare future indagini dirette nel sito. Il complesso dell’area termale Nel gennaio del 2010, sindaco Eugenio Di Santo, finalmente inizia la seconda fase dei lavori, per certi aspetti la più emozionante: quella della di una nuova campagna di scavi dopo quella del 1966. Una fase, vissuta dai più, come un evento di grande portata storica, culturale e scientifica, destinato ad incidere lo sviluppo e il tessuto sociale di quel nucleo di comuni sorti dalle rovine di Atella. La zona indagata dopo alcuni mesi rivela, non senza destare stupore e suggestioni, interessanti ritrovamenti che con competenza sono descritti puntualmente dal coordinatore dello scavo l’archeologo Luigi Lombardi: Il complesso emerso s’inquadra come edificio termale a carattere pubblico, qualificando pertanto quest’area come prossima al foro cittadino. Gli ambienti si sviluppano su una superficie di 1170 mq lungo un’asse NordEst /Sud-Ovest, su cui si dispongono i diversi vani destinati alle abluzioni, secondo la canonica sequenza che prevedeva il passaggio dagli ambienti freddi a quelli gradualmente riscaldati. Attraverso un portico poste sul lato meridionale, si accedeva al complesso: e ipotizzabile un ingresso con prospetto ad archi, come mostra il rinvenimento di due pilastri quadrangolari in laterizio sui quali dovevano impostarsi i piedritti delle arcate. L’accesso avveniva mediante un’ampia gradinata centrale: di questa sono stati messi in luce tre gradini, un tempo rivestiti da lastre marmoree. La gradinata immetteva direttamente in un ambiente poste ad una quota inferiore che, per l’assenza degli ipocausti e per la prossimità all‘ingresso, s’interpreta come frigidarium. Questo, destinato ai bagni freddi, era costituito da un’ampia sala rettangolare (14,80 x 8 metri) con un’abside sul lato breve Est nella quale era ricavata una vasca in origine rivestita di lastre marmoree. Anche il pavimento e le pareti della sala erano decorati con lastre marmoree di forma e qualità diverse, spoliate in parte già in antico, in parte da lavori e distruzioni moderne. La tipologia del rivestimento, la qualità dei marmi, il modo in cui sono giustapposte le singole lastre, il cui disegno é leggibile per le più dalle impronte lasciate sulla malta, indicherebbero un orizzonte cronologico ascrivibile al III – IV sec. d.C. A Nord del frigidarium si sviluppa una serie di quattro ambienti riscaldati, identificabili per la presenza di ipocausti, dei quali i primi due mostrano segni evidenti di ampliamenti e ristrutturazione forse relativi a un cambiamento nella destinazione d’uso da tepidaria a caldaria; i due più a nord, invece, si connotano chiaramente come caldaria. Da tutti gli ambienti riscaldati si conservano gli ipocausti con pavimentazione in tegole e mattoni su cui si impostano pilastrini in laterizi a sezione circolare quadrangolare, che reggevano un pavimento in cocciopesto rivestito di marmi, allettato su bipedali, rinvenuto in posizione crollo. I muri perimetrali conservati sono in opera laterizia con specchiature in opera reticolata. Mancano i muri che chiudevano la struttura ad Est, spoliati sistematicamente in epoca tardo – antica/alto – medievale. L’ambiente adiacente al frigidarium è di forma rettangolare (10,45 x 4,80 m), caratterizzato dalla presenza di un praefurnium posto sul lato breve est. L’ambiente succesivo, di forma sub – quadrangolare (8,30 x 9,10 m) presenta un praefurnium ubicato lungo la parete occidentale, in posizione decentrata, il cui stato di conservazione risulta fortemente compromesso da una fossa moderna. La presenza di pilastrini diversi per orientamento e tipologia lascia ipotizzare diverse fasi di restauro. L’ambiente adiacente, a pianta rettangolare (13,50 x 7,55 m), si caratterizza invece per la presenza sul lato breve ovest di un praefurnium posto in posizione centrale e di due sfiatatoi per il deflusso di fumi di scarico, ubicati ai margini laterali del muro. L’ultimo ambiente, infine, anch’esso di forma rettangolare (7,45 x 11,20 m) chiude ad ovest con un’ampia abside, nella quale era, stata ricavata una vasca per i bagni caldi, di cui si conserva parte dei gradini di accesso, rivestiti in marmo e impostati su un piano di cocciopesto poggiante su un ipocausto sottoposto a quello del resto della Sala. L‘intero settore occidentale era occupato dagli ambienti di servizio, funzionali all‘alimentazione dei praefurnia. Lungo questa fascia, nella zona posta pin a sud, al di sotto delle quote pavimentali, un saggio di approfondimento ha permesso di mettere in luce parte delle reti di canalizzazione per lo scarico delle acque, realizzate con pin tecniche edilizie e pertanto riferibili a fasi cronologiche diverse. lmmediatamente ad Est di questo settore, l’area presenta una pavimentazione musiva (2,60 X 3,65 m) realizzata con tessere rettangolari bianche alternate a sporadiche tessere policrome. Tale ambiente, la cui funzione e ancora da chiarire, in una prima fase doveva essere riscaldato, come suggerisce la presenza di tubuli posti lungo la parete Ovest. In questo settore inoltre, è stata messa in luce una struttura con chiusura a emiciclo sul lato Est, realizzata in opera reticolata, forse interpretabile come vasca. Le strutture emerse, i rapporti stratigrafici e i materiali rinvenuti permettono di stabilire che l’area oggetto di indagine fu occupata con continuità dall’età ellenistica fino all’epoca tardo-imperiale. In alcuni settori, infatti, sono state rinvenute strutture murarie di età ellenistica, realizzate in grossi blocchi di tufo, riutilizzate ed inglobate nelle strutture di epoca imperiale. Tali muri sono stati in gran parte asportati in età tardo-antica/altomedievale e risultano leggibili solo attraverso i limiti delle trincee di spoliazione. Il riaffiorare in superficie del complesso termale ha reso necessario ulteriori interventi non contemplati nel progetto originario. La competente Soprintendenza, infatti, ha prescritto la realizzazione di una struttura di copertura dell’intera area del complesso termale (più di 1000 mq!) al fine di assicurarne un’adeguata conservazione e protezione dalle intemperie, impedendo inoltre eventuali intromissioni non autorizzate durante i periodi di chiusura al pubblico dell’area archeologica. Particolare dell’area termale Il costo notevole della speciale copertura, di tipo spaziale con moduli facilmente smontabili e con pannelli del tipo sandwich leggeri predisposti per l’installazione di pannelli fotovoltaici utili a garantire l’approvvigionamento energetico dell’intero parco, ha determinato una modifica al quadro economico comportando, nel contempo, la riduzione di alcune categorie di lavori appaltati che si potranno realizzare in un altro momento. Nella perizia di variante del progetto è stata altresì considerata una recinzione non invasiva dell’area di scavo al fine di rendere la stessa indipendente dal parco ambientale. Sempre nei prossimi mesi saranno eseguite opere minime di consolidamento e conservazione della residua parte del Castellone. Infine, per rendere l’opera immediatamente fruibile per funzioni didattiche e museali, nel medesimo progetto è stato previsto un incremento delle somme a disposizione per lo studio, la catalogazione dei reperti rinvenuti e l’assistenza alla musealizzazione. Attuati questi lavori, si avvierà la sistemazione generale dell’area con la creazione, al suo interno, di percorsi arricchiti da pannelli didattici che renderanno più agevole le visite delle scuole e di quanti a diverso titolo vorranno saperne di più sulla civiltà atellana. Il completamento, previsto per la fine del 2011, delle opere appaltate con il finanziamento regionale costituirà solo il punto di partenza di una nuova e sempre più stimolante fase. Per certi versi siamo all’anno zero, nel senso che ora inizia una fase cruciale in termine di programmazione e gestione del bene culturale. Ereditiamo dai lavori una struttura, l’ex Municipio di Atella di Napoli, completamente ristrutturata; un parco di oltre 60 mila mq; una zona archeologica, opportunamente delimitata, di circa 2 mila mq. Strutture valide ma che occorre con intelligenza mettere in “moto”. Pensiamo ad esempio all’ex Municipio che per renderlo funzionale occorre l’acquisto di mobili e suppellettili. L’acquisto di questi ultimi può avvenire solo dopo una seria riflessione sull’utilizzo più opportuno. In tal senso ci sono già delle ipotesi, alcune delle quali peraltro concordate in passato anche con gli organi della Soprintendenza Archeologica. Tuttavia bisogna essere consapevoli che si deve pensare ad un utilizzo “dinamico” della struttura. Bisogna pensare ad un’impresa culturale. Con le limitazioni spaventose di contributi e finanziamenti ai Comuni diventa sempre più complicato andare avanti. Gli enti locali più passa il tempo e più diventano organismi ingessati e incapaci di dare risposte profonde ai bisogni della gente. Pensare dunque di aprire l’ennesima struttura senza la produzione di profit significa condannare la stessa al fallimento. Al contrario, immaginare che ci siano realtà capaci di progettare una serie di servizi culturali nell’ex Municipio di Atella di Napoli che producano un minimo di reddito utile a finanziare le spese dei gestori ma anche di manutenzione della struttura, significa a mio avviso aver dato una prospettiva e un futuro al palazzo. Il rischio che si corre, se non si imbocca una strada del genere, è che l’edificio appena ristrutturato tra pochi anni già dovrebbe abbisognare di prime manutenzioni che se non attuate in tempi brevi causerebbero problemi sempre più grossi al punto da vietarne l’agibilità nel giro di pochi anni. Pensare invece a dei giovani che con intelligenza e lungimiranza creino una serie di eventi culturali, con mentalità d’impresa, rende meno ansiosa la prospettiva di questi beni appena recuperati. Immagino che nel bel sottotetto si possano organizzare corsi di formazione sulle arti, sull’archeologia, sul teatro, ecc.; ideare stage con personaggi di fama internazionale su tantissime tematiche afferenti il mondo della cultura, delle arti e dello spettacolo e via discorrendo. Si può pensare, nel piano rialzato, di insediare un caffè letterario con annessa ristorazione; una libreria modernamente intesa e altro in grado, ribadisco, di produrre un utile capace di sopperire al costo del lavoro dei giovani (si crea occupazione!), di organizzazione degli eventi, di manutenzione della struttura. Eventi che devono avere anche il merito di accendere i riflettori su Atella, inserendola effettivamente nei percorsi turistici che contano. Lo stesso si può dire del parco ambientale: 60 mila mq sono immensi e tanto utili a progettare eventi all’aperto. Mi riferisco a serate teatrali, musicali ed altre manifestazioni che si leghino bene alla natura dei luoghi. C’è anche qualcuno che provocatoriamente ma non troppo suggerisce di organizzare, a mo’ di villa in campagna, ricevimenti per matrimoni. Un’idea che non scarterei da subito perchè se non altro stimola una riflessione. Già intanto si stanno muovendo i primi passi per concretizzare degli orti sociali da affidare alla cura di anziani, giovani, soggetti in riabilitazione, ecc. Potrei proseguire all’infinito illustrando proposte e progetti che mi affascinano ma credo che sia opportuno spostare nel giusto alveo la mia riflessione. Credo, infatti, che tutto quanto sinora esposto si sintetizzi in una sola parola: gestione! E’ questo il grande tema che deve entusiasmare da subito la politica, gli amministratori, l’associazionismo, gli studiosi e quanti appassionati alle sorti del territorio locale. Dobbiamo inventare, con l’aiuto degli esperti e con il coinvolgimento di tante energie locali, brillanti e fresche, un modello di gestione che risponda a tutta una serie di bisogni, primo dei quali quello di rendere visibile il sito culturale – archeologico atellano nei circuiti culturali e turistici che contano. Occorrono fantasia e creatività per trasformare la “materia prima” che la storia ci ha donato (la tradizione culturale delle Fabulae Atellanae; i resti archeologici; ecc.). Un potenziale che deve essere sapientemente messo a sistema. Del resto solo con un intelligente lavoro di promozione di quanto finora fatto si può sperare di attrarre altri capitali con cui continuare la campagna di scavi. Le risorse a disposizione ci hanno consentito di condurre indagini su una superficie limitata che tuttavia ci ha confermato che nel sottosuolo ci sono le risposte che attendono il territorio e tutti quelli che non hanno smesso mai di credere nei “tesori” del sottosuolo. Non dobbiamo affatto abbandonare la speranza di ritrovare l’anfiteatro. Nel corso di uno dei tanti incontri che periodicamente svolgiamo con la Soprintendenza Archeologica, il responsabile di zona dott. Angelo Stanco, persona disponibile e competente, mi ha tra l’altro riferito che il ritrovamento di un secondo (il primo è quello del Castellone) edificio termale pubblico, dalle ampie proporzioni, fa riflettere non solo sulla grandezza della città ma anche sulla possibile vicinanza del foro dal momento che queste strutture solitamente sorgevano proprio a ridosso del centro cittadino. E se il foro è nei paraggi, altrettanto lo sono la basilica, il tempio, il teatro e altri complessi che solitamente animano la parte centrale delle città dell’epoca. Quanto basta, insomma, a non frenare l’ambizione e la brama di conoscenza che nutriamo verso la civiltà atellana da cui orgogliosamente discendiamo. Il dibattito è aperto e ancora una volta chiama in gioco il senso di responsabilità e la capacità di sintesi e di risposta della classe dirigente atellana affinché il baricentro dell’antica città ritorni ad essere il cuore pulsante della cultura, dell’economia e dello sviluppo locale trasformando un sogno irraggiungibile in una visione concreta, per il beneficio dei posteri.

Note Storiche

Note Storiche

Ricca ed interessante è la storia del nostro comune, le sue radici affondano nei meandri millenari delle vicende dell’antica città di Atella, di cui Sant’Arpino è la più diretta continuità spaziale e temporale. Atella rimane famosa nel mondo letterario per essere stata la culla del teatro italiano, è qua difatti che hanno luogo per la prima volta brevi ed improvvisate azioni sceniche di natura comico – satirica, dette Fabulae Atellane. In esse apparivano dei personaggi fissi che recitavano con delle maschere sul viso, rappresentando Pappus (vecchio scemo), Buccus (chiacchierone), Dossenus (gobbo astuto), Maccus (ghiottone), a detta di molti studiosi proprio quest’ultimo sembra presentare le caratteristiche del progenitore Pulcinella.
Le Fabulae Atellane con il Teatro romano di Plauto, prima, ed attraverso le commedie rinascimentali, poi, si sono tramandate fino a noi con la Commedia dell’Arte.
Atella venne fondata intorno al V secolo a.C. dagli Osci, antico popolo campano. Per la sua posizione geografica, la città fu punto di incontro di più civiltà fra cui quella greca e quella etrusca.
Etruschi, Greci e Sanniti segnarono non solo la storia civile e militare, ma anche l’impianto urbanistico di Atella.
Città autonoma per molti anni, Atella coniò anche proprie monete. Entrò poi a far parte della federazione capuano – campana che raggruppava dodici città della Campania, unite per difendersi dalla potenza militare romana. Dopo la seconda guerra sannitica nel 313 a.C. Atella come altre città campane venne assoggettata dai Romani.
Con l’arrivo dei Cartaginesi in Italia, dopo la battaglia di Canne del 216 a.C. Atella insieme a Capua si alleò con i Cartaginesi di Annibale per tentare di liberarsi dall’oppressione romana e riconquistare la sua antica autonomia.
Dopo la sconfitta di Annibale e la cacciata dei Cartaginesi dall’Italia, Atella venne ridotta alla condizione di ”Prefettura” ed ogni anno riceveva quattro prefetti da Roma. Durante le guerre sociali rimasta fedele a Roma, Atella ottenne la cittadinanza romana e fu elevata alla dignità di ”Municipium”.
E’ in questo periodo che la città raggiunge il massimo dello splendore, vengono ricostruiti ed ampliati il foro e le terme. Nel 29 a. C. rimase ad Atella per diversi giorni l’imperatore Ottaviano Augusto che ritornava dalla battaglia di Azio ove aveva sconfitto Antonio e Cleopatra. Nella sua sosta ad Atella l’imperatore s’incontrò con il grande poeta Virgilio il quale lesse ad Ottaviano Augusto per la prima volta le Georgiche alternandosi nella lettura con Mecenate. Il Municipium Atellano possedeva anche un ”agervectigalis” nella Gallia Cisalpina, le rendite provenienti da questo possedimento servivano ad arricchire le casse pubbliche così come attesta una lettera di Cicerone. La città seguì poi le glorie e le disgrazie dell’impero romano. Nel V secolo d.C.divenne sede vescovile grazie all’opera evangelizzatrice del predicatore cristiano Elpidio, conterraneo di S.Agostino. Nel 533 d.C. fu devastata dai Vandali di Genserico, venne poi successivamente conquistata e depredata dagli Ostrogoti. Dal 552 al 568 fu possedimento bizantino fino alla conquista dei Longobardi. Fece quindi parte del Principato dei Longobardi fino al 1058 anno nel quale passò ai Conti normanni di Aversa che portarono nella vicina città tutto ciò che poteva essere trasportato e reimpiegato. Anche la sede vescovile venne trasferita ad Aversa. Il nome del villaggio S.Elpidio (volgarizzato successivamente in Sant’Arpino) compare per la prima volta in un atto di vendita dell’820 d.C. Un manoscritto datato 877 d.C. comprova che la chiesa vescovile di Atella era dedicata a S.Elpidio fin dal IX secolo. I due nomi di S.Elpidio ed Atella convissero ufficialmente fino all’XI secolo quando sorta Aversa tutto ciò che restava di Atella venne trasferito nel borgo normanno. Successivi documenti normanni confermano che nel 1175 ”Villa S.Elpidii” era residenza del barone Gimbuino. Dunque per un lungo lasso di tempo la città madre Atella ormai quasi totalmente abbandonata convive con il villaggio S.Elpidio sua appendice naturale. Il nome attuale S.Arpino (dialettale di S.Elpidio) compare ufficialmente per la prima volta nel 1592 quando il paese diviene feudo ducale del marchese di Grottola d.Alonzo Sanchez de Luna d’Aragona. In questo periodo engono edificati la nuova chiesa di S.Elpidio, quella attuale, ed il palazzo ducale, residenza del feudatario, che sorge sulle rovine della vecchia chiesa. Il palazzo ducale venne poi restaurato ed ingrandito nel 1798 mentre la chiesa fu arricchita nel 1754 ed ampliata e riportata all’attuale stato nel 1884. Numerosi sono i personaggi che S.Arpino partorisce nel panorama storico – culturale del Mezzogiorno d’Italia. Fra questi ricordiamo l’avvocato Carlo Magliola (1695 – 1760) difensore di S.Arpino contro le città di Napoli e di Aversa, l’abate Vincenzo De Muro (1757 – 1811) storiografo di Atella, direttore della Nunziatella, segretario della Accademia Pontaniana, Antonio Della Rossa (1748 ) direttore di polizia, Ministro di Ferdinando IV di Borbone, Marco De Simone (1713 – 1778) consacrato vescovo da papa Benedetto XIV. Con l’abolizione della feudalità da parte di Gioacchino Murat nel 1810, i Sanchez de Luna d’Aragona persero il loro ducato pur continuando ad abitare a S.Arpino nel loro palazzo fino al 1836. Per successioni ereditarie il palazzo ducale divenne proprietà dei Caracciolo nobile famiglia napoletana che raramente abitò il palazzo stesso. Nel 1903 il palazzo ducale venne acquistato e restaurato dal siciliano Giuseppe Macrì, tenente al seguito dell’esercito garibaldino. Alla sua morte avvenuta nel 1932 il tenente Macrì lasciò il palazzo ducale in eredità al Comune di S.Arpino.

Le Origini

Le Origini

Sull’attuale territorio comunale di S.ARPINO gli storici fanno ricadere gran parte del sito dell’agglomerato urbano dell’antica Città di ATELLA. Questa, la cui origine e ancora avvolta nel mistero, e riportata, nelle scarne fonti bibliografiche, come centro urbano organizzato a partire dal IV secolo a.C.. Ritenuta importante Città degli OPICI (=OSCI), popolo anch’esso misterioso, fece parte di una Confederazione di centri urbani Osci che aveva Capua come capitale. Città Stato, con propria autonomia amministrativa e con proprie monete dalla scritta ADERL, Atella vivrà sempre nell’orbita politica di Capua. Di questa seguirà le sorti quando, durante la conquista romana dell’ Ager Campanus, nel 338 a.C. riceverà, come Città confederata di ROMA, il rango di MUNICIPIUM e la “CIVITAS sine suffragio”. Nel 211 a.C., però, per essersi schierata con Annibale, Atella venne severamente punita e ridotta a PREFETTURA. Decimata del Senato, perse ogni suo bene, i suoi abitanti vennero forzatamente tradotti a CALATIA e le sue case vennero date agli abitanti di NUCERIA ALFATERNA, Città distrutta da Annibale per non aver tradito Roma. In seguito ritroviamo Atella come MUNICIPIUM attorno al 1° secolo a.C., quando CICERONE ne divenne difensore per alcuni possedimenti della Città nelle GALLIE.
MACCUS: Nei secoli successivi Atella venne ingrandita ed arricchita di splendidi monumenti quali il TEATRO e L’ANFITEATRO ove, alla presenza di AUGUSTO, VIRGILIO avrebbe letto le GEORGICHE. Lo stesso Augusto, secondo alcune fonti, dedusse una colonia di veterani in Atella. Atella divenne famosa in tutto il mondo antico per un genere teatrale in lingua osca: le FABULAE ATELLANAE. Di esse, rappresentanti i vari tipi contadini, sono rimaste note le maschere PAPPUS, DOSSENNUS, BUCCUS e MACCUS dal quale si fa discendere PULCINELLA. Atella, sin dai primi secoli del Cristianesimo, divenne Sede Vescovile ed in essa sarebbe transitato anche Fapostolo S. PAOLO nel suo viaggio verso Roma. Il Vescovo Atellano più famoso fu S. ELPIDIO, cacciato dall’AFRICA con altri 11 compagni durante la persecuzione dei vandali ed approdato in Atella ove, immediatamente fuori le mura di questa, avrebbe fondato una Chiesa nel 455 d.C., al momento della distruzione della Città da parte dei Vandali di GENSERICO. Attorno a questa Chiesa sarebbe sorto il villaggio di S.ARPINO. Atella continuerà ad esistere, in mezzo a guerre tra longobardi e bizantini, fino all’ XI secolo quando, con l’arrivo dei Normanni, venne da questi fondata la Città di AVERSA con le sue rovine. La sede Vescovile atellana venne assorbita dalla nuova Città. La tradizione ed alcuni scavi effettuati nei decenni passati hanno fatto individuare il sito occupato dal centro urbano in un dislivello altimetrico a forma di “terrazza” posto tra i paesi di ORTA, SUCCIVO, FRATTAMINORE e S.ARPINO ma ricadente al 90% nel territorio di quest’ultimo. Sulla “terrazza” esiste ancora l’ultima testimonianza archcologica emersa, il CASTELLONE, in opus reticolatum risalente, forse, al Il secolo d.C. Nuirierose necropoli, invece, sono state ritrovate un po 1 dappertutto nei territori dei paesi sopra menzionati. Un progetto di Parco Archeologico, che l’Amministrazione Comunale sta avviando con il concorso della Soprintendenza ai Beni Archeologici, potrebbe chiarire definitivamente, laddove fosse condotta una sistematica campagna di scavi, tutti i misteri che ancora avvolgono l’origine ed il sito reale occupato da Atella.

Cenni Storici

GIUSEPPE MACRI’ Cenni storici

NATO A MESSIA NEL 1843, SI ARRUOLA, AD APPENA 17 ANNI, NELLE SQUADRE SICILIANE DEI “PICCIOTTI” CHE SEGUONO I GARIBALDINI SBARCATI IN SICILIA. INQUADRATO NELLA DIVISIONE “MEDICI”, FACENTE PARTE DELL’ESERCITO MERIDIONALE COSTITUITO DA GIUSEPPE GARIBALDI, NE SEGUE LE VICENDE, CON IL GRADO DI SERGENTE, NELLA CONQUISTA DELLA SICILIA E DELL’ITALIA MERIDIONALE FINO ALLA BATTAGLIA DEL VOLTURNO. DURANTE GLI SPOSTAMENTI DEI GARIBALDINI IN TERRA DI LAVORO, GIUSEPPE MACRI’ CONOSCE PROBABILMENTE PER LA PRIMA VOLTA IL PAESE DI SANT’ARPINO DOVE, RITORNATO NEL 1905, DOPO UNA BREVE CARRIERA NELL’ESERCITO ITALIANO CONCLUSASI CON IL GRADO DI TENENTE DEI GRANATIERI, ACQUISTA IL PALAZZO DUCALE GIA’ APPARTENUTO ALLA FAMIGLIA SANCHEZ DE LUNA D’ARAGONA. LO STESSO PALAZZO VERRA’ DONATO, ALLA SUA MORTE AVVENUTA NEL 1932, AL COMUNE DI SANT’ARPINO CHE, CON LE RENDITE DI ESSO, DOVRA’ BENEFICIARE I POVERI DEL PAESE. LE VOLONTA’ TESTAMENTARIE VENGONO APPLICATE CON L’EREZIONE DELL’”ENTE DI BENEFICENZA MACRI’” CHE FUNZIONA FINO AGLI ANNI 80.
ALLA SUA MORTE SEMBRA SI FACCIA SEPPELLIRE ALL’IMPIEDI NELLA CAPPELLA DA LUI STESSO ERETTA.

FILOMENA PASSERO

FIGLIA DI RAFFAELE, NASCE AD OTTAJANO (NAPOLI) NEL 1857. DOMESTICA PER MOLTI ANNI DI GIUSEPPE MACRI’, E’ CONOSCIUTA IN PAESE COME “DONNA FILUMENA D’O’ TENENTE” O COME “DONNA FILUMENA A’ MORT’”. MUORE NEL 1925.

LA CAPPELLA NEL CIMITERO

COSTRUITA NEGLI ANNI 20 DEL 1900, CUSTODISCE LE SPOGLIE MORTALI DEL PROPRIETARIO, GIUSEPE MACRI’, E DELLA SUA DOMESTICA FILOMENA PASSERO. FU IDEATA SEGUENDO CANONI “ESOTERICI” CHE SI RIFANNO, PRESUMIBILMENTE, AL SIGNIFICATO ROSACROCIANO DEL CERCHIO E DEL TRIANGOLO. LA SUA ARCHITETTURA, INFATTI, MOLTO SEMPLICE, E’ COMPOSTA DA QUESTE DUE FIGURE GEOMETRICHE CONCENTRICHE. LA STRUTTURA ESTERNA, IL CERCHIO, E’ INTERAMENTE IN MATTONI E DETIENE UNA UNICA PORTA DI ACCESSO, QUATTRO FINESTRE, DUE ABBAINI PER PRESA DI LUCE E DODICI FINESTRINI ROTONDI, DISPOSTI LUNGO LA CIRCONFERENZA, CHE SERVONO PER OSSERVRE L’INTERNO. ESSI SEMBRANO ORIENTATI, INOLTRE, SECONDO PRECISE DIRETTRICI CARDINALI.
ALL’INTERNO LA FORMA TRIANGOLARE, CHE SOVRASTA LE DUE TOMBE, E’ COSTITUITA DA TRE PILASTRI E TRE COLONNE. AL CENTRO DI ESSA E’ INSTALLATO UN BUSTO MARMOREO DI GIUSEPPE MACRI’ IN DIVISA DA UFFICIALE DELL’ESERCITO SABAUDO ESEGUITO, FORSE, DALLO SCULTORE DI MOLFETTA LEONARDO DI CANDIA NEL 1907.
LE SCRITTE SULLE LAPIDI PRESENTI NELLA CAPPELLA INNEGGIANO ALLA “CARITA’”, LA VIRTU’ PRATICATA DAL MACRI’ NEGLI ULTIMI ANNI DELLA SUA VITA.
SULLE PARETI INTERNE ERANO APPESI, FINO A QUALCHE DECENNIO ADDIETRO, ALCUNI RICORDI DELLA VITA MILITARE DI MACRI’.

Il Tenente Macrì

Circa la fascinosa storia del Tenente Macrì e di "donna Filumena a’ mort"

Le ultime vicende amministrative, che sembrano finalmente aver portato alla risoluzione dei problemi che impedivano la ristrutturazione del Palazzo Ducale, mi hanno riportato alla mente la magica figura del Tenente Giuseppe Macrì da Messina, ultimo proprietario del palazzo ducale. Molti conoscono solo di nome questo misterioso personaggio che la storia ha catapultato nel nostro paese e nonostante vi sia un circolo a lui dedicato sono in pochi a conoscere la vita di questo grande benefattore della nostra comunità. Ho avuto modo di conoscere a fondo la vita di questo straordinario siciliano quando nell’ottobre del 1986, assieme ad altri amici della Pro Loco, decisi di ripulire e di riattare la sua cappella al cimitero, chiusa da quasi dieci anni ed ormai ridotta in condizioni disastrose. Poiché avevo intenzione di scrivere dei cenni biografici per sistemarli poi sulla sua cappella, feci una serie di interviste agli anziani del paese e ciò insieme alla lettura del Testamento mi porto alla conoscenza di un personaggio unico che già aveva stimolato la mia fantasia per la strana forma della sua cappella. Giuseppe Macrì nacque a Messina l’8 luglio del 1843, rampollo di un’agiata famiglia siciliana, si unì alla camicie rosse di Garibaldi quando queste sbarcarono in Sicilia per liberare il Meridione dai Borboni. Arruolatosi con il grado di Sergente, seguì Garibaldi fino alla liberazione di Napoli ed alla storica battaglia sul Volturno. Molto probabilmente fu durante questi eventi che ebbe modo di conoscere Sant’Arpino. Alla fine della guerra, integrato come gran parte dei garibaldini nel neo esercito italiano, diviene Tenente dei granatieri tornando più volte nelle nostre zone fino a quando nel 1903, sessantenne, abbandonato l’esercito e passato alla’attività di agricoltore-commerciante, acquista il palazzo ducale per 14.500 lire, ormai abbandonato dai Caracciolo a cui l’immobile era passato per ragioni ereditarie. Grazie a questo nuovo lavoro riesce subito ad integrarsi nel nostro paese allora centro agricolo-canapiero, stabilendo, egli socialista razionale ed ex garibaldino, un buon rapporto con i contadini ed i lavoratori della canapa. Raccontano i più anziani che era un uomo alto, robusto, spesso vestito di bianco, parlava un italiano con forte accento siciliano, aveva un paio di baffi grandi e ben curati. Nel cortile del palazzo cresceva maiali, papere, galline, conigli e teneva delle vasche con anguille, secondo alcuni anziani aveva anche una coltivazione di bachi da seta. Mangiava spesso pan di spagna che si faceva appassionatamente preparare con le uova delle sue galline. Era solito, negli ultimi anni della sua vita, recarsi presso Napoli ed al suo ritorno alla stazione lo aspettavano gruppi di ragazzini che gli facevano compagnia fino al palazzo ove egli li compensava con i centesimi che tirava fuori dalle tasche del suo panciotto. Macrì aveva con sé una donna misteriosa, una certa Filomena Passero che egli definiva scherzosamente suo ministro degli interni. Costei, come dice una filastrocca santarpinese, ancora ricordata dai più anziani, non gli era né moglie, né sorella, né parente ma solo donna Filomena del Tenente. Donna schiva e solitaria non usciva mai dalle mura del palazzo ed era spesso oggetto di beffe e scherni da parte dei ragazzini a cui ella negava l’accesso ai numerosi frutti del giardino del cortile. Per il suo apsetto trasandato venne soprannominata << FILUMENA A’ MORT>> ed è così rimasta impressa nella memoria popolare che ancora oggi a Sant’Arpino quando si vede una donna vestita male si dice <<me pare donna Filumena d’ ‘o Tenente>>. Si racconta che Macrì durante le feste patronali non permise mai l’ingresso della statua di S. Elpidio nel palazzo. Grande passione del Tenente era lo spiritismo che egli considerava una scienza degna delle civiltà più evolute. Si fece costruire un tavolo rotondo apposta per le sedute spiritiche che faceva nelle stanze del palazzo ducale e ciò contribuì ad alimentare fra la gene la leggenda dei fantasmi e delle apparizioni ultraterrene nel palazzo stesso. Ancora in vita si fece costruire la cappella mortuaria con la forma di un cerchio che racchiude un triangolo ed in questa cappella priva di croci fece seppellire anche Filomena Passero morta prima di lui. Nel suo testamento lasciò tutti i suoi beni immobili e le relative rendite al comune di Sant’Arpino il quale con tali rendite aveval’obbligo di istituire un circolo spiritico, di fare beneficenza ai poveri ogni 2 novembre dell’anno, di elargire borse di studio per il francese ed infine di tenere sempre in stato decoroso il palazzo e la cappella. Lasciò numerosi libri e vari mobili. Per sua espressa volontà sia lui che Filomena sono sepolti in posizione verticale anziché orizzontale. Nella sua cappella vi fece mettere la spada, le divise, numerose foto di famiglia ed altri oggetti personali; di tutto ciò quando abbiamo aperto la cappella io ed i miei amici, abbiamo trovato solo due sue foto semidistrutte fra i calcinacci che erano caduti dalle pareti.

Palazzo Zarrillo

Palazzo Zarrillo

Residenza di importanti Famiglie Gentilizie (De Simone-Zarrillo) ha un’imponente facciata con magnifico portale ”bucciato” e pregevoli ringhiere sui balconi. Notevole anche lo scalone d’ingresso. Ospita la sede di Atella dell’Archeoclub d’Italia ed una sezione della soprintendenza ai beni archeologici.

Palazzo Ducale Sanchez de Luna d’Aragona

Palazzo Ducale Sanchez de Luna d'Aragona (sec. XVI)

L’edificio venne costruito a cavallo fra il 1573 ed il 1592 dal tesoriere del regno di Napoli. Alonzo Sanchez de Luna d’Aragona che divenne poi duca di Sant’Arpino. Presenta una struttura architettonica a pianta quadrata, venne edificato sul luogo ove prima esisteva l’antica chiesa fatta costruire da Sant’Elpidio fuori dalle mura di Atella. Tale chiesa ormai quasi distrutta venne fatta abbattere dal Duca ed al suo posto edificato il maestoso palazzo ducale e contemporaneamente costruita la nuova Chiesa di Sant’Elpidio proprio di fronte al Palazzo Ducale dove sorge tuttora.

L’antica chiesa, così come si ricava dai marmi lasciati dal duca nelle mura del palazzo ducale sorgeva verso il lato est dell’odierno cortile del palazzo ed aveva l’ingresso rivolto verso la città di Atella, era lunga palmi settantotto e larga palmi quarantotto, presentava anche un atrio nel suo ingresso.
Il Palazzo ducale è composto da quattro corpi di fabbrica posti a corona intorno ad un cortile che nel passato aveva vari annessi agricoli ed un’immensa cisterna per la raccolta delle acque meteoriche che ora inutilizzata é posta sotto il fabbricato sul lato della facciata. L’edificio presenta un piano terra con accesso dall’androne, un primo piano destinato agli appartamenti nobiliari e due quartini ammezzati nella parte superiore. La facciata al piano terra presenta sei finestre, tre per lato, incorniciate da pietre di piperno, al primo piano nobile le finestre, sempre tre per lato, sono in asse con le sottostanti ed infine all’ultimo livello abbiamo piccoli balconcini con balaustra. Al centro della facciata c’è il magnifico portale d’ingresso interamente di piperno inquadrato da colonne doriche su alto basamento, le quali colonne a loro volta sostengono il balcone del primo piano che rappresenta l’unico corpo sporgente dell’intera facciata al quale si accede da una grande porta posta al centro.

Il portone è preceduto da una lieve salita fatta di lastre di basalto con quattro mezze colonne due per ogni lato.
Nella parte superiore e centrale della balconata c’è lo stemma della famiglia.
Nel 1798, in occasione delle nozze celebrate dal sesto duca di sant’Arpino con Maria Giovanna D’Avalos, il palazzo venne abbellito e restaurato come testimonia una lapide posta nell’androne. Anticamente all’interno del palazzo c’era, fra l’altro, una grande sala per galleria con pareti tutte istoriate, un’altra stanza conteneva i ritratti dei vari personaggi della famiglia nobiliare dei Sanchez de Luna d’Aragona. L’edificio è interamente costituito da murature di tufo proveniente in gran parte dalla grotta e dalle cave scavate in loco. I solai al piano terra sono in buona parte costituiti da volte in tufo del tipo a botte ed a crociera mentre quelli ai piani superiori sono composti da travi in legno. Nella parte nobile dell’edificio rimangono ancora visibili tracce di dipinti sotto le volte e residui di carte istoriate poste sotto al solaio a copertura delle travi in legno Alle spalle del palazzo ducale esisteva un immenso giardino, di oltre dieci moggi, ora completamente urbanizzato, che era collegato con un’apertura nel palazzo ducale e la chiesetta di S.Canione era ubicata all’interno di questo immenso giardino.
Sotto questo giardino, che era recintato con archi settecenteschi, esisteva un’enorme grotta cantina, segni concreti di questa cavità sono tuttora le residue strutture di alcuni pozzi ancora visibili dietro le spalle del palazzo ducale. Anche sui lati del palazzo anticamente esistevano giardini ora scomparsi. Il palazzo è stato abitato dai duchi di Sant’Arpino fino alla metà del 1800 per poi passare per motivi ereditari in possesso della famiglia nobiliare dei Caracciolo dalla quale il tenente Giuseppe Macrì lo acquistò nel 1903.

Il Castellone

IL CASTELLONE (sec. II d.C.)

Rudere archeologico in «opus reticolatum» situato sulla strada provinciale Aversa – Caivano, è l’unica testimonianza emersa dell’antica Atella. Non si sa di preciso la sua originaria destinazione. E’ considerato, da alcuni, risalente al sec. II d.C. e parte di edificio termale, da altri parte di torre difensiva di epoca medioevale. Con la sua caratteristica forma è diventato l’emblema dell’agroatellano per i ricordi che evoca.

Chiesa Sant’Elpidio Vescovo

Chiesa Sant' Elpidio Vescovo

Ubicata in Piazza Umberto I, fronteggia il Palazzo Ducale. La sua costruzione fu voluta da Alonzo III Sanchez de Luna (1590) al posto della omonima chiesa fatta abbattere per innalzare il Palazzo Ducale. Lo spazio per l’edificio fu ottenuto abbattendo un nucleo di costruzioni medioevali che esistevano sull’attuale piazza. Originariamente più piccola dell’attuale chiesa e senza cupola, è stata rimaneggiata più volte nei secoli successivi fino ad ottenere (1884) l’attuale fisionomia. La facciata si presenta con due torri campanarie con orologi pubblici. E’ a croce latina e misura 44 metri di lunghezza per 19 metri di larghezza. Presenta 11 altari e quello maggiore, con splendida balaustra in marmo policromo di stile barocco, fu donato da Sua Ecc.za Mons. Marco De Simone, vescovo di Troia, nativo di Sant’Arpino che, insieme al fratello medico Antonio, abbellì a proprie spese la Chiesa nel 1754. Consacrata al Sacro Cuore di Gesù, presenta uno stupendo altare maggiore del ‘700. Vi sono alcuni dipinti su tela, opera della scuola di Luca Giordano, come anche le statue, in particolare le statue lignee della Madonna di Atella, di Sant’Elpidio vescovo e di San Francesco di Paola; Nell’altare laterale dedicato alla Madonna del Buon Consiglio riposano i corpi dei Santi Prospero e Costanzo, ivi traslati da Gennaro Sanchez de Luna. Presenta all’ingresso un organo meccanico ottocentesco (opera del Criscuolo) da pochi anni restaurato e funzionante.

Chiesa San Francesco di Paola

Chiesa San Francesco di Paola

Costruita con l’annesso convento sul finire del Cinquecento da Alonzo III Sanchez de Luna, sui resti di un antico edificio religioso (probabilmente un tempio romano), fu affidata dal 1593 ai padri Minimi di San Francesco di Paola, che vi abitarono fino alla soppressione del monastero avvenuta nel 1799 per dar spazio all’attuale cimitero voluto dalle riforme murattiane;

Chiesa e Romitorio San Canione

Chiesa di San Canione

Edificata nel 1969, sorge a fianco dell’antico romitorio risalente al terzo secolo, che ancora oggi viene aperta ai fedeli nella settimana dopo Pasqua.

Romitorio di San Canione

Oltre alla parrocchia nuova dedicata al santo, a Sant’Arpino, si trova anche il Romitorio di San Canione considerato un oratorio paleocristiano di epoca atellana. Dedicato al Santo sembra essere stato anche la sua tomba fino alla traslazione del corpo ad Acerenza. Probabilmente all’inizio era una semplice edicola con affreschi ed alcune statue in seguito venne costruito il romitorio. Dalle testimonianze locali è stato abitato da un monaco eremita che viveva solo con alcuni animali. Oggi internamente è stato quasi completamente ristrutturato mancano però la ristrutturazione esterna e la ristrutturazione di alcuni affreschi. Sulla facciata centrale c’è un affresco della Madonna delle Grazie affiancata da due santi (sant’Elpidio e san Nicola).

Chiesa della Maddalena

Chiesa della Maddalena

Piccola chiesa edificata nel XIV sec. dalle monache del Convento di Santa Maria Maddalena in Napoli.

Albo dei Presidenti

1. D’Antonio Felice

10/12/84 – 10/02/1991

2. Dell’Aversana Giuseppe

10/02/1991 – 03/12/1994

3. Pezone Franco

03/12/1994 – 13/02/2000

4. D’Anna Amedeo

13/02/2000 – 18/04/2003

5. Iorio Elpidio

23/04/2003 – 30/11/2003

6. Pezzella Giovanni

30/11/2003 – 24/07/2007

7. Pezone Franco

08/09/2007 – 23/11/2008

8. Pezzella Aldo

23/11/2008

Albo dei Parroci

CHIESA DI SANT’ELPIDIO VESCOVO

Rev. Domenico D’Angelo (o De Angelis) – 1599 – 1618

Rev. Sebastiano Magliola – 1618 – 1665

Rev. Francesco Soreca – 1665 – 1703

Rev. Giuseppe Pellino – 1703 – 1706

Rev. Salvatore Ferrigno – 1706 – 1726

Rev. Pasquale De Luca – 1726 –1762

Rev. Vincenzo Pellino – 1762 – 1776

Rev. Matteo Mormile – 1776 – 1801

Rev. Carlo Soreca – 1802 – 1804

Rev. Luigi Morrone – 1805 – 1838

Rev. Giacinto Magliola – 1838 – 1854

Rev. Giovanni Saviano – 1855 – 1889

Rev. Antonio Limone – 1889 – 1929

Rev. Giovanni B. Casaburi – 1930 – 1948

Rev. Eugenio Bencivenga – 1949 – 1967

Rev. Francesco Pezzella – 1967 – 1999

Rev. Stanislao Capone – 1999 – 2007

Rev. Umberto D’Alia – 2007 – 2019

Rev. Michele Manfuso – 2019 –

 

CHIESA DI SAN CANIONE VESCOVO

Rev. Maurizio Crispino – 1973 – 1990

Rev. Mario Puca – 1990