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Parco Archeologico

Parco Archeologico

«Nell’ambito del saggio denominato integrale sono stati individuati i resti di un importante complesso termale di epoca romana a carattere pubblico, resti sufficienti per connotare il parco archeologico». In queste poche righe dal linguaggio burocratese, c’è il senso, la svolta, la portata storica dei lavori per la realizzazione del Parco Ambientale Archeologico di Atella. A scrivere è la Soprintendente per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta che, in data 12 luglio 2010, riferisce al Comune di Sant’Arpino che grazie ai rinvenimenti della recente campagna di scavi finalmente possiamo denominare archeologico il costruendo parco. E ciò dimostra che per la civiltà atellana nulla è stato sinora scontato. Secoli di ricerche e studi su Atella non sono stati di per sé sufficienti a dare una cognizione più attendibile della stessa. Occorreva battere la strada che porta al contatto con quella fisicità fatta di mura, strada, resti di edifici, manufatti, anfore, vasi e bassorilievi, per svelare un inedito lato culturale e storico, oltre che artistico di Atella. In altre parole occorreva scrutare la dimensione “archeologica” di Atella. Da anni, Sant’Arpino conserva una fetta di territorio, da tutti definita “zona archeologica”. Tale enunciazione popolare, tuttavia, benché suffragata anche da studi condotti nel secolo scorso da autorevoli studiosi, su tutti ricordiamo Johannowsky, non aveva ancora portato a quell’automatismo burocratico che consente di connotare ufficialmente come archeologica quell’area e il parco che su di essa si sta costruendo. Il primo obiettivo dunque è centrato: la burocrazia ci autorizza a “fregiarci” del titolo “archeologico”! Sembra banale quanto finora riportato ma basta questo per capire che su molti aspetti, anche quelli più elementari, della nostra amata e scomparsa città osca veleggia una cupa incertezza. Ma se analizziamo questa vicenda da un’altra angolazione, scorgiamo anche il rovescio della medaglia. La campagna di scavi, avviata nel gennaio del 2010, ha svelato aspetti inediti che i più ritenevano assodati ma che in realtà non erano tali. Dissotterrare in tutti i suoi aspetti la storia di un popolo oramai sepolto dalla polvere dei secoli era l’obiettivo principale dell’opera. E i frutti non si sono fatti attendere. Da assessore ai lavori pubblici del Comune di Sant’Arpino, ho avuto l’onore e il privilegio di presenziare da protagonista a questa fase storica per la comunità atellana. La mattina del 20 gennaio 2010, ci siamo radunati in tanti per “inaugurare” la nuova campagna di scavi, che segue, esattamente 45 anni dopo, quella avvenuta nel corso del mandato del sindaco Vincenzo Legnante. Sul posto, oltre alle figure istituzionali anche i rappresentanti di quelle associazioni che non hanno mai smesso di credere in questo obiettivo. Mi riferisco all’Archeoclub di Atella, all’Istituto di Studi Atellani, alla Pro Loco di Sant’Arpino. «Il loro sogno sarebbe quello di destinare tutta la zona a parco archeologico, acquistare i terreni, far proseguire gli scavi». “Loro” sono gli amministratori atellani degli anni sessanta, del cui pensiero si ha traccia nelle cronache giornalistiche che accompagnarono la prima campagna di scavi del 1966. E dopo circa mezzo secolo, all’ombra del Castellone, solitario reperto atellano, probabilmente avanzo di un edificio termale imperiale dell’età dei Flavii, il sogno degli atellani diventa finalmente realtà: il parco archeologico è in costruzione, i terreni sono stati espropriati e recintati, i saggi sono in fase avanzata. In questa sede è utile, però, per amore di verità e per opportuna ricostruzione, tracciare un sommario percorso, dagli inizi del 1900 a oggi, riportante le tappe cruciali di questo * Assessore ai Lavori Pubblici ed Urbanistica del Comune di Sant’Arpino. cammino verso il sapere che dalle fonti testuali decide di passare all’indagine archeologica per una conoscenza storico – antropologica delle vicende atellane, inquadrando le stesse in un nuovo contesto culturale ed evolutivo. Foto ricordo in occasione dell’inaugurazione della campagna di scavi Tra le indagini più accreditate dei primi anni del Novecento, figurano i cinque saggi effettuati nel 1908 da Giuseppe Castaldi all’interno dell’antica città, delimitata dal fossato che la recingeva e che formava una grande terrazza quadrata e sopraelevata di alcuni metri rispetto alla campagna circostante. Castaldi, tra l’altro, rinvenne tracce di una strada antica in basolata in vico Cerri. Sempre Castaldi, con particolare attenzione studiò la strada detta Ferrumma (oggi via Compagnone), la quale ricalca quello che doveva essere il Decumano che divideva in due la città. Negli anni a venire, nel 1934, altri saggi interessanti furono quelli dell’ispettore Chianese compiuti presso il Castellone. Nello stesso anno, durante lo scavo delle fondazioni per la costruzione del Municipio di Atella di Napoli, fu scoperto un tesoretto di monete atellane. Il Municipio fu edificato proprio «nel bel mezzo di quella grande area, fra i campi, ubicandolo, inconsapevolmente e fatalmente, là dove era uno dei centri vitali dell’antica città, forse nel Foro, di contro al gran rudere romano del Castellone che torreggia solitario tra i filari alti delle viti». La descrizione è di Amedeo Maiuri, uno dei più importanti archeologi del nostro tempo che, nel gennaio del 1935, con la sua proverbiale maestria, nell’ambito di un’attività di esplorazione delle più interessanti esperienze archeologiche campane, s’interessò anche di Atella sintetizzando, poi, i risultati del suo lavoro nella pubblicazione Passeggiate Campane. Altre notizie di scavi di modeste dimensioni sono coeve alla sistemazione del canale collettore nella zona Succivo – Frattamaggiore. Giungiamo, intanto, agli anni sessanta. A Sant’Arpino, durante i lavori di sistemazione della rete fognaria in piazza Umberto I, emerge dal sottosuolo un’incantevole sfinge in calcare tenero, pertinente evidentemente ad un monumento sepolcrale (III sec. a.C.), molto simile alle sculture di ambiente ellenistico. La sensazionale scoperta generò, nella gente e nell’amministrazione comunale guidata dal sindaco Di Carlo, un rinnovato e quanto mai inedito interesse per il lato culturale e storico della ricerca archeologica, oltre che per quello artistico. Si organizzarono convegni e iniziative varie che di fatto agevolarono la strada agli scavi del marzo 1966 che interessarono un’area di circa 5 mila mq. La campagna di scavi, diretta dall’archeologo Werner Johannowsky, dopo oltre due millenni, portò in superficie inedite testimonianze della civiltà atellana, tra cui un meraviglioso pavimento a mosaico policromo in peristilio, le mura di una grande casa, un ambiente termale, la testa di una statua muliebre in marmo. Tanto bastò a sollevare un enorme clamore: sul posto arrivarono inviati della carta stampata e delle televisioni, scolaresche, studiosi e tantissimi curiosi. Tutti assistevano al disvelarsi di una storia che si è immortalata nel suolo, facendosi avvincere dal fascino dell’eterno e dal mistero della vita. Gli scavi proseguirono con l’intento di trovare tracce del teatro, del foro, della basilica e dell’anfiteatro. Di quest’ultimo, che dovrebbe essere tra i più antichi della Campania, parla Svetonio riferendo che proprio nell’anfiteatro atellano i nemici di Tiberio, alla sua morte e mentre il corteo si avviava verso Roma, volevano bruciarne la salma in segno di damnatio memoriae. Gli scavi, però, a causa delle scarse risorse a disposizioni, cessarono, infrangendo i sogni di quanti speravano di “toccare” l’anfiteatro. Il sistema viario e la centuriazione del territorio di Atella (da Bencivenga Trillmich 1984) Ma la campagna oltre a dare delle conferme scientifiche importanti sull’ubicazione di Atella, aveva soprattutto creato un clima di entusiasmo nella gente cosciente di trarre dalla scoperta di Atella una fonte di ricchezza e di sviluppo locale come efficacemente riportato nelle cronache del tempo firmate dal giornalista Arturo Fratta. Il sindaco Legnante, che aveva seguito con particolare le operazioni di scavo, si adoperò subito con i colleghi dei comuni limitrofi, per costituire il Consorzio Archeologico Atellano, al cui interno fu istituita una commissione presieduta dal giudice Domenico Galasso, Pretore di Frattamaggiore e appassionato di archeologia. La finalità del consorzio era quella di reperire ulteriori fondi per la prosecuzione degli scavi. Ma il loro sogno era soprattutto quello di realizzare un Parco Archeologico mediante esproprio dei terreni ricadenti nel perimetro dell’antica città. Seguirono anni difficili, le risorse non arrivarono e il sogno rimase tale. L’area archeologica fu abbandonata al suo destino, in preda all’opera devastatrice di tombaroli: furono irrimediabilmente compromessi i siti e numerosi reperti andarono perduti. L’amore per la (ri)scoperta del passato continuava a nutrire i cuori di tanti atellani e di diverse associazioni, nel frattempo costituitesi con il precipuo scopo di salvare le testimonianze archeologiche (vedi Istituto di Studi Atellani, Archeoclub di Atella, Pro Loco di Sant’Arpino). Questi sodalizi, creati da quei giovani che in qualità di studenti avevano assistito agli scavi del 1966, riescono a dare un impulso forte alla conoscenza dell’antichità, promuovendo sia la pubblicazione di testi di buon valore scientifico che la costituzione di istituzioni culturali permanenti, tra cui un museo per accogliere le testimonianze materiali atellane (vedi inaugurazione del Museo Archeologico di Atella avvenuta in Succivo il 5 aprile del 2002). L’edificio che ospitava il municipio di Atella di Napoli La comunità atellana, non smette mai di inseguire questo sogno: si organizzano dibattiti, convegni, incontri vari per capire le strade possibili da intraprendere per arrivare al fatidico obiettivo. Il sistema viario e la centuriazione del territorio di Atella è l’oggetto di uno studio effettuato da Bencivenga Trillmich nel 1984 che tra l’altro scrive: L’evoluzione urbana di Atella non può essere definita con precisione, se non nel perimetro di forma trapezoidale delle mura in grossi blocchi di tufo provviste di un ampio fossato e databile tra la metà del IV secolo o agli inizi del III secolo a.C. All’interno del centro abitato sono stati individuati gli assi viari principali tra cui il Cardus Maximus, il Decumanus Maximus e un altro decumanus a sud, oltre ad un reticolo di strade minori con un orientamento nordest/sudovest che differisce da quello della centuriazione di II secolo a.C. Tra gli anni ottanta e novanta, s’intravedono dei timidi tentativi di progettazione dell’opera (vedi delibera di Consiglio Comunale n° 271 del 18/12/86 con cui si conferiva l’incarico professionale per la redazione del progetto di recupero e valorizzazione dell’antica città di Atella, in attuazione della legge 64 del 1986, più volte approvato ed in ultimo aggiornato con delibera di Giunta comunale n. 62 dell’8 marzo 1991). Un tecnico impegnato nelle indagini geofisiche nell’area del parco Ma è dal 1996 in poi, con l’allora sindaco Giuseppe Dell’Aversana, che l’obiettivo del parco compie dei decisivi passi in avanti. In questi anni, infatti, il Comune di Sant’Arpino redige e sottoscrive il protocollo d’intesa con la Soprintendenza Archeologica competente e i comuni atellani e, quindi, approva il progetto esecutivo del parco (vedi delibera di Consiglio comunale n. 81 del 12 novembre 1996 con cui veniva approvato il protocollo d’intesa per il Parco Archeologico di Atella, sottoscritto tra Ministero dei Beni Culturali, Soprintendenza Archeologica per le province di Napoli e Caserta e Comune di Sant’Arpino). Tuttavia, risulta determinante per la definizione dell’annosa vicenda, la “storica” visita a Sant’Arpino – il 28 agosto del 2002 – del Premio Nobel Dario Fo che, intervenuto a sostegno della Rassegna Nazionale di Teatro Scuola PulciNellaMente, sollecitò il governatore Antonio Bassolino a dare una risposta forte e concreta sull’istanza del parco che giunse esattamente dopo un anno. Infatti, il 4 agosto 2003, sindaco Giuseppe Savoia, la Regione Campania comunica l’assegnazione di 4.878.233,00 euro quale finanziamento per la realizzazione del parco. Il 23 ottobre 2003, il presidente Bassolino nella sala convegni del Palazzo ducale Sanchez de Luna, ufficializza il finanziamento dichiarando: Il 28 agosto del 2002 è una data storica per l’area atellana. E’ la data della visita di Dario Fo, che ora pare destinata a cambiare la sorte della periferia dimenticata tra Napolie Caserta. La Regione ha stanziato cinque milioni di euro per il Parco urbano, archeologico e ambientale che farà rivivere l’antica Atella, città risalente al IV secolo avanti Cristo, allora tra le più importanti della Penisola. Gli archeologi si aspettano di recuperare le strade, gli edifici, l’anfiteatro, il teatro. Lo stesso che fu con le sue fabulae la culla della nostra commedia dell’arte. Dopo più di duemila anni, la storia restituisce al territorio atellano quel che gli spetta di diritto, riempiendo il nuovo contenitore del Parco con un progetto che trasforma il teatro – scuola fatto dai ragazzi e inventato sei anni fa con la rassegna “Pulci Nella Mente” in un evento nazionale. Che farà di Sant’Arpino la Giffoni del Teatro. Intorno a un’area aggredita dall’edilizia legittima e no, il progetto che farà partire gli scavi archeologici, per la prima volta con una gestione mista, comuni – soprintendenza, dovrà strappare con le unghie nuove aree da esplorare. E se ci saranno scoperte importanti ci saranno altri finanziamenti per scavare, recuperare, valorizzare. L’inizio dei saggi di scavo Con un apposito e dettagliato programma di intervento, il finanziamento della Regione Campania per il Parco Archeologico della città di Atella, fu distinto in due moduli: – il primo denominato Museo Archeologico di Atella e sistemazione aree esterne museo, progetto esecutivo per l’importo di 2.450.000,00 euro; – il secondo denominato Parco Archeologico di Atella e restauro del “Castellone”, progetto esecutivo per l’importo di 2.428.233,00 euro. Il 19 ottobre 2005, partono finalmente i lavori del modulo uno che termineranno poi nel 2009 con il restauro dell’edificio ex podesteria della fu Atella di Napoli. La splendida struttura si sviluppa su quattro livelli (seminterrato, rialzato, primo e sottotetto), ciascuno dei quali di circa 450 mq per una superficie utile complessiva di circa 1200 mq. Primi ritrovamenti Il modulo due è preceduto dall’occupazione dei terreni da espropriare nell’ambito del finanziamento regionale, la cui superficie ammonta a circa 65 mila metri quadrati. È bene precisare che si tratta comunque solo di una porzione dell’area da destinare a parco archeologico che, stando all’originario progetto, in futuro si dovrà estendere su una superficie di circa 240 mila mq. Tra il 21 agosto e il 1° settembre 2006 è stata effettuata una campagna di indagini geofisiche con la tecnica della magnetometria su un’area di cinque ettari, da parte di un team di esperti dell’Archaeological Prospection Services di Southampton (APSS) e della British School at Rome (BSR). Il lavoro si proponeva di determinare l’estensione e di elaborare una carta delle strutture archeologiche ancora interrate dell’antica città di Atella. E’ utile riportare alcuni tratti salienti dei risultati dell’indagine che nonostante alcune interferenze (recinzioni metalliche, rifiuti metallici, eccessiva vegetazione, natura vulcanica e quindi dotata di magnetismo del terreno) ha individuato con successo un certo numero di anomalie di natura archeologica che sembrano riconducibili alla struttura urbana ed al reticolo stradale dell’antica città romana. La presenza di interferenze e disturbi moderni nel sito – è testualmente scritto nella relazione finale delle indagini – unita ad una natura spesso effimera delle strutture archeologiche, ha causato alcuni problemi alla prospezione magnetometrica ed alla successiva fase di interpretazione dei risultati. Comunque, nel sito è risultata chiara la presenza di una serie di strutture interrate che, una volta combinate insieme, mostrano il quadro urbano della città. La zona meridionale d’indagine (particelle 41, 81, 33, 503 e 504) è stata quella più soggetta ad attività di scavo ma ha permesso di individuare e localizzare con precisione le strutture scoperte nei precedenti sondaggi. L’insieme delle anomalie positive [M9] nell’area occidentale mostra l’esistenza di alcuni edifici e permette di delineare la struttura urbana della città. Nella parte settentrionale dell’area d’indagine (particella 30) ha rivelato la presenza di strutture archeologiche complesse, in particolare [M4], che mostra un insieme di numerosi resti interrati. Inoltre, diverse evidenze archeologiche hanno un orientamento dissimile rispetto alle altre anomalie positive individuate, fatto che potrebbe indicare una diversa fase di occupazione del sito. In conclusione, la tecnica magnetometrica ha permesso di individuare una serie di resti interrati che sembrano parte della città antica. La maggior parte di queste anomalie ha un orientamento parallelo o perpendicolare al sistema viario cittadino, confermando la struttura ipotizzata dell’abitato. Questa prospezione, quindi, potrà servire come utile strumento per guidare future indagini dirette nel sito. Il complesso dell’area termale Nel gennaio del 2010, sindaco Eugenio Di Santo, finalmente inizia la seconda fase dei lavori, per certi aspetti la più emozionante: quella della di una nuova campagna di scavi dopo quella del 1966. Una fase, vissuta dai più, come un evento di grande portata storica, culturale e scientifica, destinato ad incidere lo sviluppo e il tessuto sociale di quel nucleo di comuni sorti dalle rovine di Atella. La zona indagata dopo alcuni mesi rivela, non senza destare stupore e suggestioni, interessanti ritrovamenti che con competenza sono descritti puntualmente dal coordinatore dello scavo l’archeologo Luigi Lombardi: Il complesso emerso s’inquadra come edificio termale a carattere pubblico, qualificando pertanto quest’area come prossima al foro cittadino. Gli ambienti si sviluppano su una superficie di 1170 mq lungo un’asse NordEst /Sud-Ovest, su cui si dispongono i diversi vani destinati alle abluzioni, secondo la canonica sequenza che prevedeva il passaggio dagli ambienti freddi a quelli gradualmente riscaldati. Attraverso un portico poste sul lato meridionale, si accedeva al complesso: e ipotizzabile un ingresso con prospetto ad archi, come mostra il rinvenimento di due pilastri quadrangolari in laterizio sui quali dovevano impostarsi i piedritti delle arcate. L’accesso avveniva mediante un’ampia gradinata centrale: di questa sono stati messi in luce tre gradini, un tempo rivestiti da lastre marmoree. La gradinata immetteva direttamente in un ambiente poste ad una quota inferiore che, per l’assenza degli ipocausti e per la prossimità all‘ingresso, s’interpreta come frigidarium. Questo, destinato ai bagni freddi, era costituito da un’ampia sala rettangolare (14,80 x 8 metri) con un’abside sul lato breve Est nella quale era ricavata una vasca in origine rivestita di lastre marmoree. Anche il pavimento e le pareti della sala erano decorati con lastre marmoree di forma e qualità diverse, spoliate in parte già in antico, in parte da lavori e distruzioni moderne. La tipologia del rivestimento, la qualità dei marmi, il modo in cui sono giustapposte le singole lastre, il cui disegno é leggibile per le più dalle impronte lasciate sulla malta, indicherebbero un orizzonte cronologico ascrivibile al III – IV sec. d.C. A Nord del frigidarium si sviluppa una serie di quattro ambienti riscaldati, identificabili per la presenza di ipocausti, dei quali i primi due mostrano segni evidenti di ampliamenti e ristrutturazione forse relativi a un cambiamento nella destinazione d’uso da tepidaria a caldaria; i due più a nord, invece, si connotano chiaramente come caldaria. Da tutti gli ambienti riscaldati si conservano gli ipocausti con pavimentazione in tegole e mattoni su cui si impostano pilastrini in laterizi a sezione circolare quadrangolare, che reggevano un pavimento in cocciopesto rivestito di marmi, allettato su bipedali, rinvenuto in posizione crollo. I muri perimetrali conservati sono in opera laterizia con specchiature in opera reticolata. Mancano i muri che chiudevano la struttura ad Est, spoliati sistematicamente in epoca tardo – antica/alto – medievale. L’ambiente adiacente al frigidarium è di forma rettangolare (10,45 x 4,80 m), caratterizzato dalla presenza di un praefurnium posto sul lato breve est. L’ambiente succesivo, di forma sub – quadrangolare (8,30 x 9,10 m) presenta un praefurnium ubicato lungo la parete occidentale, in posizione decentrata, il cui stato di conservazione risulta fortemente compromesso da una fossa moderna. La presenza di pilastrini diversi per orientamento e tipologia lascia ipotizzare diverse fasi di restauro. L’ambiente adiacente, a pianta rettangolare (13,50 x 7,55 m), si caratterizza invece per la presenza sul lato breve ovest di un praefurnium posto in posizione centrale e di due sfiatatoi per il deflusso di fumi di scarico, ubicati ai margini laterali del muro. L’ultimo ambiente, infine, anch’esso di forma rettangolare (7,45 x 11,20 m) chiude ad ovest con un’ampia abside, nella quale era, stata ricavata una vasca per i bagni caldi, di cui si conserva parte dei gradini di accesso, rivestiti in marmo e impostati su un piano di cocciopesto poggiante su un ipocausto sottoposto a quello del resto della Sala. L‘intero settore occidentale era occupato dagli ambienti di servizio, funzionali all‘alimentazione dei praefurnia. Lungo questa fascia, nella zona posta pin a sud, al di sotto delle quote pavimentali, un saggio di approfondimento ha permesso di mettere in luce parte delle reti di canalizzazione per lo scarico delle acque, realizzate con pin tecniche edilizie e pertanto riferibili a fasi cronologiche diverse. lmmediatamente ad Est di questo settore, l’area presenta una pavimentazione musiva (2,60 X 3,65 m) realizzata con tessere rettangolari bianche alternate a sporadiche tessere policrome. Tale ambiente, la cui funzione e ancora da chiarire, in una prima fase doveva essere riscaldato, come suggerisce la presenza di tubuli posti lungo la parete Ovest. In questo settore inoltre, è stata messa in luce una struttura con chiusura a emiciclo sul lato Est, realizzata in opera reticolata, forse interpretabile come vasca. Le strutture emerse, i rapporti stratigrafici e i materiali rinvenuti permettono di stabilire che l’area oggetto di indagine fu occupata con continuità dall’età ellenistica fino all’epoca tardo-imperiale. In alcuni settori, infatti, sono state rinvenute strutture murarie di età ellenistica, realizzate in grossi blocchi di tufo, riutilizzate ed inglobate nelle strutture di epoca imperiale. Tali muri sono stati in gran parte asportati in età tardo-antica/altomedievale e risultano leggibili solo attraverso i limiti delle trincee di spoliazione. Il riaffiorare in superficie del complesso termale ha reso necessario ulteriori interventi non contemplati nel progetto originario. La competente Soprintendenza, infatti, ha prescritto la realizzazione di una struttura di copertura dell’intera area del complesso termale (più di 1000 mq!) al fine di assicurarne un’adeguata conservazione e protezione dalle intemperie, impedendo inoltre eventuali intromissioni non autorizzate durante i periodi di chiusura al pubblico dell’area archeologica. Particolare dell’area termale Il costo notevole della speciale copertura, di tipo spaziale con moduli facilmente smontabili e con pannelli del tipo sandwich leggeri predisposti per l’installazione di pannelli fotovoltaici utili a garantire l’approvvigionamento energetico dell’intero parco, ha determinato una modifica al quadro economico comportando, nel contempo, la riduzione di alcune categorie di lavori appaltati che si potranno realizzare in un altro momento. Nella perizia di variante del progetto è stata altresì considerata una recinzione non invasiva dell’area di scavo al fine di rendere la stessa indipendente dal parco ambientale. Sempre nei prossimi mesi saranno eseguite opere minime di consolidamento e conservazione della residua parte del Castellone. Infine, per rendere l’opera immediatamente fruibile per funzioni didattiche e museali, nel medesimo progetto è stato previsto un incremento delle somme a disposizione per lo studio, la catalogazione dei reperti rinvenuti e l’assistenza alla musealizzazione. Attuati questi lavori, si avvierà la sistemazione generale dell’area con la creazione, al suo interno, di percorsi arricchiti da pannelli didattici che renderanno più agevole le visite delle scuole e di quanti a diverso titolo vorranno saperne di più sulla civiltà atellana. Il completamento, previsto per la fine del 2011, delle opere appaltate con il finanziamento regionale costituirà solo il punto di partenza di una nuova e sempre più stimolante fase. Per certi versi siamo all’anno zero, nel senso che ora inizia una fase cruciale in termine di programmazione e gestione del bene culturale. Ereditiamo dai lavori una struttura, l’ex Municipio di Atella di Napoli, completamente ristrutturata; un parco di oltre 60 mila mq; una zona archeologica, opportunamente delimitata, di circa 2 mila mq. Strutture valide ma che occorre con intelligenza mettere in “moto”. Pensiamo ad esempio all’ex Municipio che per renderlo funzionale occorre l’acquisto di mobili e suppellettili. L’acquisto di questi ultimi può avvenire solo dopo una seria riflessione sull’utilizzo più opportuno. In tal senso ci sono già delle ipotesi, alcune delle quali peraltro concordate in passato anche con gli organi della Soprintendenza Archeologica. Tuttavia bisogna essere consapevoli che si deve pensare ad un utilizzo “dinamico” della struttura. Bisogna pensare ad un’impresa culturale. Con le limitazioni spaventose di contributi e finanziamenti ai Comuni diventa sempre più complicato andare avanti. Gli enti locali più passa il tempo e più diventano organismi ingessati e incapaci di dare risposte profonde ai bisogni della gente. Pensare dunque di aprire l’ennesima struttura senza la produzione di profit significa condannare la stessa al fallimento. Al contrario, immaginare che ci siano realtà capaci di progettare una serie di servizi culturali nell’ex Municipio di Atella di Napoli che producano un minimo di reddito utile a finanziare le spese dei gestori ma anche di manutenzione della struttura, significa a mio avviso aver dato una prospettiva e un futuro al palazzo. Il rischio che si corre, se non si imbocca una strada del genere, è che l’edificio appena ristrutturato tra pochi anni già dovrebbe abbisognare di prime manutenzioni che se non attuate in tempi brevi causerebbero problemi sempre più grossi al punto da vietarne l’agibilità nel giro di pochi anni. Pensare invece a dei giovani che con intelligenza e lungimiranza creino una serie di eventi culturali, con mentalità d’impresa, rende meno ansiosa la prospettiva di questi beni appena recuperati. Immagino che nel bel sottotetto si possano organizzare corsi di formazione sulle arti, sull’archeologia, sul teatro, ecc.; ideare stage con personaggi di fama internazionale su tantissime tematiche afferenti il mondo della cultura, delle arti e dello spettacolo e via discorrendo. Si può pensare, nel piano rialzato, di insediare un caffè letterario con annessa ristorazione; una libreria modernamente intesa e altro in grado, ribadisco, di produrre un utile capace di sopperire al costo del lavoro dei giovani (si crea occupazione!), di organizzazione degli eventi, di manutenzione della struttura. Eventi che devono avere anche il merito di accendere i riflettori su Atella, inserendola effettivamente nei percorsi turistici che contano. Lo stesso si può dire del parco ambientale: 60 mila mq sono immensi e tanto utili a progettare eventi all’aperto. Mi riferisco a serate teatrali, musicali ed altre manifestazioni che si leghino bene alla natura dei luoghi. C’è anche qualcuno che provocatoriamente ma non troppo suggerisce di organizzare, a mo’ di villa in campagna, ricevimenti per matrimoni. Un’idea che non scarterei da subito perchè se non altro stimola una riflessione. Già intanto si stanno muovendo i primi passi per concretizzare degli orti sociali da affidare alla cura di anziani, giovani, soggetti in riabilitazione, ecc. Potrei proseguire all’infinito illustrando proposte e progetti che mi affascinano ma credo che sia opportuno spostare nel giusto alveo la mia riflessione. Credo, infatti, che tutto quanto sinora esposto si sintetizzi in una sola parola: gestione! E’ questo il grande tema che deve entusiasmare da subito la politica, gli amministratori, l’associazionismo, gli studiosi e quanti appassionati alle sorti del territorio locale. Dobbiamo inventare, con l’aiuto degli esperti e con il coinvolgimento di tante energie locali, brillanti e fresche, un modello di gestione che risponda a tutta una serie di bisogni, primo dei quali quello di rendere visibile il sito culturale – archeologico atellano nei circuiti culturali e turistici che contano. Occorrono fantasia e creatività per trasformare la “materia prima” che la storia ci ha donato (la tradizione culturale delle Fabulae Atellanae; i resti archeologici; ecc.). Un potenziale che deve essere sapientemente messo a sistema. Del resto solo con un intelligente lavoro di promozione di quanto finora fatto si può sperare di attrarre altri capitali con cui continuare la campagna di scavi. Le risorse a disposizione ci hanno consentito di condurre indagini su una superficie limitata che tuttavia ci ha confermato che nel sottosuolo ci sono le risposte che attendono il territorio e tutti quelli che non hanno smesso mai di credere nei “tesori” del sottosuolo. Non dobbiamo affatto abbandonare la speranza di ritrovare l’anfiteatro. Nel corso di uno dei tanti incontri che periodicamente svolgiamo con la Soprintendenza Archeologica, il responsabile di zona dott. Angelo Stanco, persona disponibile e competente, mi ha tra l’altro riferito che il ritrovamento di un secondo (il primo è quello del Castellone) edificio termale pubblico, dalle ampie proporzioni, fa riflettere non solo sulla grandezza della città ma anche sulla possibile vicinanza del foro dal momento che queste strutture solitamente sorgevano proprio a ridosso del centro cittadino. E se il foro è nei paraggi, altrettanto lo sono la basilica, il tempio, il teatro e altri complessi che solitamente animano la parte centrale delle città dell’epoca. Quanto basta, insomma, a non frenare l’ambizione e la brama di conoscenza che nutriamo verso la civiltà atellana da cui orgogliosamente discendiamo. Il dibattito è aperto e ancora una volta chiama in gioco il senso di responsabilità e la capacità di sintesi e di risposta della classe dirigente atellana affinché il baricentro dell’antica città ritorni ad essere il cuore pulsante della cultura, dell’economia e dello sviluppo locale trasformando un sogno irraggiungibile in una visione concreta, per il beneficio dei posteri.